mercoledì 2 dicembre 2009

Marsabit pastoral assembly

Si è tenuta da martedì 24 a giovedì 26 novembre l’annuale tre giorni diocesana dedicata alla verifica dell’anno pastorale trascorso e alle pianificazione per quello appena iniziato. Partecipanti: il vescovo Mons. Peter Kihara, tutti i sacerdoti che prestano il loro servizio nella diocesi di Marsabit, le suore e alcuni rappresentanti dei laici (chairman del Consiglio parrocchiale, catechista…) per ogni parrocchia. In più tutti coloro che lavorano negli uffici diocesani: Hilary per “Giustizia e pace”, Joseph per il coordinamento sanitario diocesano (infatti diocesi e parrocchie gestiscono ancora molti dispensari e due ospedali privati), Eva Darare per il coordinamento dei gruppi femminili diocesani, Mark per i “water projects” e James, che è il coordinatore di tutti gli uffici.
La diocesi di Marsabit in questi prossimi cinque anni (2009-2014) si prepara al “Golden Jubilee”, ossia si prepara a festeggiare i suoi primi 50 anni! Le aree di intervento e cura per questi anni saranno quattro: leadership (cioè formare leader cristiani per le comunità e la società per permettere ai laici un maggior coinvolgimento nella vita parrocchiale e di fede), fede (soprattutto puntando sulla conoscenza della Parola di Dio e sull’approfondimento del legame tra fede e vita, fede e azione), self-supporting (ossia tutto ciò che riguarda l’autosostentamento dei gruppi cristiani e delle parrocchie e della diocesi: la partecipazione dei cristiani alle spese della parrocchia e così via) e social relevance (toccando i temi di giustizia e pace, riconciliazione, aborto, cultura e fede, educazione civica, dignità della vita umana…)… Ogni parrocchia l’anno scorso ha stilato il suo piano di intervento a proposito di questi quattro temi, proponendo alcune attività sia a livello zonale sia parrocchiale. Beh, non dappertutto ha funzionato un piano così… “concreto”… e nella verifica infatti abbiamo proposto di scegliere un versetto della Bibbia o uno slogan riassuntivo per facilitare la comprensione da parte della gente.
La nostra assemblea era piuttosto variegata… Circa 10 le lingue parlate, senza contare le lingue locali della zona… E’ stato bello ritrovarsi e confrontarsi sul modo di fare pastorale e sui principi di fondo che ci supportano e ci stimolano… Il secondo giorno è stato di formazione. Tema scelto: Islam. Dato che il contesto in cui lavoriamo è prettamente musulmano (almeno qui nel nord del Kenya), un missionario comboniano che presta il suo servizio in Egitto ci ha aiutato a capire i fondamenti di questa religione e le implicazioni sociali e concrete che anche qui si fanno sentire. Pur avendo studi l’Islam per sommi capi all’università, mi ha molto interessato ripercorrere certi temi, come il matrimonio e la condizione della donna, forse perché ora posso approcciarli con occhi diversi, avendo conosciuto alcune esperienze e volti concreti.
Il matrimonio nell’Islam è un contratto tra un uomo e una donna. Contratto nel senso commerciale del termine, come quando io vado a comprare un kg di patate. Io sono dovuta a pagare una giusta somma per le patate che voglio e il venditore è obbligato a fare un prezzo giusto e consegnarmi della buona merce. Ecco così succede per il matrimonio: la donna “vende” il suo corpo all’uomo e gli permette così di avere figli (che saranno di sua proprietà). L’uomo, dalla sua parte, è tenuto a provvedere alla casa, al cibo e alla dote (oro pagato direttamente alla donna). La moglie non può divorziare (può chiedere il divorzio solo dopo un anno intero in cui il marito non le fornisce cibo e casa), ma il marito può divorziare in ogni momento anche senza ragione.
Ovviamente, una donna musulmana non può sposare un non –musulmano (beh, questo nei paesi islamici, ma qui succede: come per esempio alla funzione a cui parteciperemo a Manyatta Jillo il 20 dicembre, Stephen sposerà Dido, che era musulmana – per lui si è “fatta” cristiana – e pure la sua famiglia!). Se un ragazzo musulmano sposa una cristiana, è quasi certo che lei si convertirà. L’Islam permette la poligamia, ma non più di 4 donne per volta (più le amanti, ma quelle non rientrano nel conto!). Il matrimonio non è solo un diritto per i musulmani, ma è un dovere: se rimani celibe (cosa che loro non capiscono), stai vivendo contro la legge di Dio perché è dovere di tutti contribuire alla procreazione. Sei utile alla società solo se sei sposato/a. In realtà alcune sure del Corano ci dicono che uomo e donna sono stati creati partendo da una sola anima. E perciò quando ti sposi riformi l’unica anima da cui siete stati creati (e allora perché la poligamia?!?)… perciò l’uomo deve trattare la donna con giustizia. Beh, questi sono solo alcuni spunti… fin troppo superficiali. Ed è vero che qui in Marsabit, eccetto poche eccezioni di Islam politico (quello che chiamano “infiltrazione”: si costruiscono scuole coraniche, moschee, per prendere il potere poco per volta), l’Islam che si vive è quello… popolare, un po’ adattato, mediato, l’Islam della gente. Che alla fine dei conti, quando si tratta di questioni vitali, segue la cultura tradizionale Gabbra o Borana, lasciando da parte Islam o Cristianesimo!
In questo anno vissuto a Marsabit non ho mai riscontrato nessuna resistenza o repulsione da parte dei musulmani, anzi diverse persone sono amiche e tanti ragazzi/e della scuola… diversi mi vengono anche a trovare a casa, leggono i giornali cattolici che regalo loro, con il permesso dei loro genitori…
Ma questo non vuol dire ch, di quando in quando, non si possano incontrare in Marsabit città arabi con la lunga barba e il vestito bianco e il turbante (anche se non è venerdì), venuti per predicare e riportare l’Islam al suo originario splendore…