sabato 3 novembre 2012

La strada


Sono appena arrivata da una passeggiata. E’ strano per noi che camminiamo quotidianamente a piedi per… spostarci e non per piacere, ma oggi, per una volta, è stato diverso. La scusa era andare a comprare un po’ di “sukuma wiki”, che Mike sta sognando di mangiare con l’ugali da dieci giorni a questa parte, da quando io mi sono decisa di dedicarmi alla cucina… alternativa (per quanto può essere alternativa una cucina qui, senza insaccati, ne’ formaggi, ne’ pesce, ne’ tante buone verdure e soprattutto insalata verde!). Scelgo la strada del villaggio, quella che passa vicino alle case, lasciando per un giorno la grande strada (si chiamerebbe “autostrada” sulla cartina!) che va in città.
Nel verde di erba ed alberi rifioriti, incontro un comizio di miei vicini di casa: la gente è parecchia, donne a sinistra, uomini a destra, si parla kiborana e, tra un applauso e un “vigelegele” delle donne, non riesco a capire il perché dell’adunanza. La strada è pacifica, serena, così diversa dagli altri giorni, quando i ragazzi verdi e rossi verso quest’ora sciamano a casa da scuola… Una bimbetta di due anni sbuca da uno dei cancelli, quando io passo.  Mi guarda con occhi sgranati che si metteranno a piangere se faccio un passo falso. La saluto in borana, ma i suoi occhi spaventati non mi mollano. Proseguo. Sono voci di donne che mi raggiungono ora, mamme che, sotto la tettoia del cortile, si preparano a fare il bagno ai loro bimbi, non tutti eccitati dall’idea. Ma l’acqua è arrivata stanotte, da un’altra abbondante pioggia: meglio approfittarne!

Quando mi inoltro nel vicolo più stretto, il passaggio per noi pedoni è mangiato dal fango, che l’acqua stagnante della strada e le macchine che sono passate non lasciano asciugare. Non ci sono fossi per l’acqua, qui, da nessuna parte. Mi arrampico su alcuni sacchi che i padroni di casa hanno messo fuori dal loro cancello per passare ed evito il peggio! Osservo le piantine di fagioli che sono già grandine, una gallina che insegna ai suoi pulcini a cercare il cibo nel campo arato, un buon profumo di cena che arriva da una delle abitazioni. Incontro Atho, alunna di quinta, che mi saluta fiera con un bel “Mwalimu, habari yako?”, anticipandomi. E’ strano vederla senza uniforme della scuola, così elegante nella sua gonna lunga e camicetta, ma il viso è sempre il suo!
Arrivo al negozietto e compro l’agognata verdura, di cui però io continuerò l’astinenza per almeno alcuni giorni. La padrona dice alla sua bimba di salutarmi con “how are you?”, ma l’anticipo io questa volta, le porgo la mano e la chiamo “intal”, sorellina. Lei si avvicina con un po’ di timore, mi stringe la mano, dicendomi “yoya”.
E’ ora di tornare a casa adesso. Rilasso ancora gli occhi sulle pendici verdi delle colline, decorate da casette decenti e colorate e penso al nostro cuoco, Mr. Halkano, che l’altro giorno mi ha chiesto un anticipo di 30 euro sul suo stipendio (cioè la metà della sua paga mensile) per costruire la latrina per la propria famiglia, nel loro cortile dietro casa. E mi viene da sorridere quando penso che io ho pagato altrettanto un falegname per due ore di motosega, per tagliare in ceppi la grande legna che ci serve per cucinare ogni giorno per 370 alunni.
La scia profumata di una signora mi riporta sulla mia strada.
Penso che tra non più di due ore Mike dovrebbe arrivare a casa, dopo un’intera giornata di “mobile clinique”, la farmacia mobile che fanno ogni mese in alcuni villaggi distanti dal centro. Stasera parleremo un po’ dei problemi che ha incontrato per strada, di ciò che ha visto, della gente con cui ha parlato, dei bimbi che ha vaccinato… E poi magari parleremo di politica, di come due politici, Ruto e Kenyatta, che saranno giudicati a marzo dalla Corte Internazionale per delitti contro l’umanità (vedi omicidio, stupro, persecuzione e altri atti inumani durante la violenza post-elettorale di quattro anni fa), vogliano correre per l’elezione a presidente del Kenya in febbraio. Il segretario di stato americano, Hillary Clinton, e l’ex segretario delle Nazioni Unite Kofi Annan, rivolti alla popolazione kenyota, hanno avvisato che potrebbe essere una cattiva idea per il Kenya eleggere persone che dovranno rispondere di queste gravi accuse contro il popolo che vogliono governare. Anche all’Alta Corte del Kenya è stato chiesto di intervenire, per fermare la loro propaganda elettorale, dato che la loro candidatura sarebbe contro la nuova Costituzione. Ma per ora vanno avanti, hanno soldi e contano di arraffare ancora più potere (e chissà di conquistarsi l’immunità una volta eletti!) e chissà che non arrivino anche quassù a comprare voti…

Scaccio questi pensieri che mi mettono addosso un senso di ingiustizia e di oppressione che fanno sentire impotente. Riporto gli occhi sul paesaggio che mi circonda, e penso che in fondo anche quest’erba nuova, fresca, rinata è sbocciata mettendo radici nella polvere, nell’immondizia… in quel terreno coperto di sangue, che ancora una volta ha dato vita a qualcosa di bello.

Chissà che per una volta non succeda anche così, nelle alte sfere…

venerdì 28 settembre 2012

La casa dov'e'?


Trasformare questo blog in un deserto non era l’idea che lo ha fatto nascere. Sarà la nostra prima vacanza italiana da sposi e il nostro ri-matrimonio, sarà che qui il lavoro non manca e stiamo più fuori che in casa, sarà che succedono così tante cose interessanti da scrivere che per non fare torto a nessuna non ne scelgo neppure una, sarà che per scrivere serve il pensiero e l’ispirazione… Comunque approfitto per primo giorno libero da quando siamo tornati a Marsabit, perché oggi gli insegnanti della nostra scuola sono andati… in gita sul confine etiope. Anche se un po’ mi dispiaceva, ho gentilmente rifiutato, soprattutto pensando ai 300 km di strada sterrata (la stanno asfaltando pero’, da dicembre 50 km dovrebbero essere gia’ percorribili!!!) fino a Moyale e alla tranquillità che per un giorno mi sarei potuta godere (lavorando in casa, s’intende!)…

E così eccomi qui, tra bella lavanderina e donna delle pulizie… mentre Mike è al dispensario di Dirib Gombo, come tutti i giorni. C’è da pensare in questi giorni, c’è da decidere cose, c’è da ricavare buon tempo, c’è da coltivare relazioni, c’è da continuare ad apprezzare e a combattere stereotipi di pelle chiara. Tuttavia, sono arrivata carica da Monforte: è stato un semplice salto (che ci vuole a salire su un aereo, a viaggiare una decina di ore con la persona che ami per raggiungere altre persone che ami?!?) che ci ha immersi in un mondo concreto, vivo, un po’ in crisi (quella economica, no, noi che arriviamo dall’Afrika non l’abbiamo vista, perché siamo troppo mal abituati!), ma di affetti, di amicizie, di tranquillità, di viaggi, di accoglienza inaspettata in quella che per Mike è la sua nuova famiglia. Un mondo ovattato, che sa bene che non saremo suoi frequentatori assidui (qualche volta dico purtroppo!) e che ci tratta con i guanti e ci fa sentire ospiti anche in casa propria. Ma in fondo, nei lunghi viaggi transafricani, mi chiedo se è proprio necessario avere una casa: non quella di mattoni (quella è necessaria!), ma quella esistenziale, quella che in inglese chiamano “home”… e se invece non se ne possono avere due o più di due. Lo penso in riferimento a me, a noi, alla nostra futura casa (dove?) ma anche ai nostri futuri bambini, se verranno: bi o trilingui, con passaporto italiano e kenyota, mix di colori, mix di capelli e di tradizioni familiari… impareranno a chiamare “zia” una persona che non è mia sorella di sangue e “amici” persone con tradizioni diverse dalle loro, con tanto diverso, che non sono state presenti nell’infanzia dei suoi genitori, cioè noi! Se don Dodo nella sua omelia del 25 agosto, ci ha detto che ammira questa capacità di sentirci liberi e tutti i posti potrebbero essere la nostra “casa”, mi chiedo fino a che punto dovremo limitare questa libertà per il bene dei figli. O della famiglia. O forse dovremo solo insegnare loro con l’esempio che la famiglia più solida di tutte è quella creata intorno all’altare, è quella della Chiesa (anche istituzione, perché no!), è quella di essere accolto ovunque perché di Cristo e accogliere chiunque perché di Cristo. In fondo è per questo se posso chiamare Marsabit casa mia: non solo per le persone che ci vivono o per quelle amiche, ma per la presenza della casa di Dio tra di noi. Chissà che non impareremo a chiamare “casa” anche altri posti, oltre a questi!
Intanto, oltre allo stupore di vedere come le vite cambiano, si evolvono e così i loro protagonisti e i bambini crescono o nascono (benvenuto Nicolò, noi invece non ci siamo ancora conosciuti di persona!), ci siamo portati in bagaglio dall’Italia una nuova consapevolezza, che sapevamo solo a memoria prima: quella di essere coppia di laici missionari. Ci piace questo. Una famiglia missionaria. Se qui cerchiamo di vivere semplici e di non attirare troppo l’attenzione, ma solo per esserci e condividere, non dobbiamo dimenticarci (e grazie ai mille amici che ce lo hanno ricordato con l’esempio, con la loro considerazione, con il loro guardarci) che siamo qui a Marsabit per una missione. Siamo una famiglia come tutte le altre, ma non siamo come tutte le altre. Perché siamo stati mandati ed accolti e siamo chiamati ad essere pietre vive, non ad uniformarci con la cultura del posto o con il loro senso religioso, a costo di restare un po’ da soli, o non completamente integrati in questa società. “Nel mondo ma non del mondo” (ma a volte fa male!).
Se escludiamo le manovre politiche e i loro fautori, rimane ben poco di cui discutere in Kenya. Le prime tre settimane di settembre, ci ha accolto un tremendo sciopero degli insegnanti della primaria, secondaria e per qualche giorno anche dell’università (escluse scuole private, come la nostra “Fr. John Memorial” e quelle secondarie diocesano “Cavallera girls” e “St. Paul”). Scopo: vedersi aumentato lo stipendio che prima sfiorava i 130 euro al mese per un maestro elementare. Il Governo li ha messi a ferro e fuoco e con un’arroganza incredibile non ha partecipato ai patteggiamenti (i maestri sono partiti con una richiesta di aumento del 300% perché era dal 1987 che non venivano dati aumenti – se non per adattamento anti-inflazione -  e non veniva rispettato il patto sottoscritto). Gli studenti hanno continuato a giocare per strada o ad aiutare in casa, a soli due mesi dall’esame di stato per la terza media e la quarta superiore. Ora che hanno ottenuto un aumento di 3,000 Kshs, cioè 30 euro per mese, gli insegnanti sono ritornati in classe, cercando di recuperare il tempo perduto. Come se tutto ciò non bastasse, il ministro dell’educazione (la cui carriera professionale niente ha a che vedere con l’educazione: è infatti un avvocato!) ha deciso di sposare in avanti tutto di un mese: così invece di avere gli esami il 5 novembre, saranno ai primi di dicembre; invece di fare vacanza novembre e dicembre ed iniziare il nuovo anno scolastico ai primi di gennaio 2013 ora faremo vacanza dicembre e gennaio e riapriremo le scuole a febbraio… Di conseguenza anche i prossimi trimestri saranno tutti sballati e chi, degli insegnanti – e sono tantissimi-, studiava all’università non potrà dare esami, né attendere le lezioni come generalmente faceva durante le vacanze di aprile, agosto e novembre-dicembre.
Mi viene proprio da cantare, in senso letterale, … “una mattina mi son svegliato, o bella ciao, bella ciao...”!! Vedremo come andrà a finire… Educazione? Ultima ruota del carro kenyota…
Una bella notizia da Marsabit, adesso: sabato scorso 23 settembre, memoria di mons. Cavallera, James Wario, un seminarista di North Horr, è stato ordinato diacono, dopo cinque anni dall’ultimo sacerdote diocesano! E’ anche l’unico Gabra ad essere nel clero diocesano di Marsabit! Tanti auguri, Wario: hai una grande sfida davanti a te, riuscire a mantenerti fedele a quel Dio che ci ha creati e continuamente ci crea, in questa cultura che ti spinge altrove e ti propone l’opposto. Ti siamo vicini!

domenica 15 luglio 2012

Take care!


Trovare il tempo e la fermezza di mettere per scritto i "temi" che ho in testa sta diventando sempre piu' complicato negli ultimi mesi... Non solo per la "nuova famiglia" da accudire, ma anche per le tante e diverse situazioni che giornalmente mi e ci mettono in discussione e che alcune volte scombussolano i nostri piani.
Solo ieri, per esempio, quando avremmo dovuto essere nel bel mezzo dei nostri preparativi per il "rimatrimonio" italiano (essendo sabato, era l'unico giorno libero che ci rimaneva prima della partenza), la signora che avevo chiamato questa settimana per aiutarci a lavare i vestiti... ha pensato bene di non presentarsi e di spegnere il telefono. Al che a mezzogiorno, tra una mescolata alla sukuma wiki nella pentola e un pensiero a cosa portare in Italia, mi sono messa a lavare quel quintale di robe che da due settimane giaceva inerme nel cestone, causa impegni dello scorso sabato tipo "parents' day" al Fr. John Memorial e "mobile clinique" di Mike. Inoltre telefonata della preside del St. Teresa School che mi informava che la ragazzina che aiuto a pagare il collegio era scappata di notte! E che era poi stata ritrovata, grazie al pronto intervento di suor Christine, da un'amica di famiglia, dalla quale si era nascosta per evitare una punizione! All'intenzione di mandarla a casa, la mamma si e' rifiutata, ma intanto la ragazzina non vuole piu' stare in collegio per le continue punizioni anche corporali e il clima di paura che regna da quando hanno cambiato la responsabile. Un problema che non ha soluzioni facili e che di certo avra' conseguenze... Il tutto da cercare di sistemare in alcuni giorni, prima della nostra partenza per Nairobi, sabato.
Nel tardo pomeriggio, andiamo fino dalle Charity sisters per salutare le suore e i "nostri" bambini... e per cercare di risolvere un altro problema, questa volta di una mamma con 7 bambini, l'ottavo in arrivo, i piu' piccoli dei quali sono denutriti e pieni di pulci penetranti. La suora e' molto accomodante e dice a Mike di portarli da loro lunedi': staranno li' per qualche mese fino a quando non si saranno rimessi in sesto... Nel frattempo fr. Racho dovra' mobilitare la comunita' per trovare un fazzoletto di terra alla signora e cercare di costruire una casetta... Le ragazze di Alba, in visita da noi, ed io, dopo aver visitato la sua attuale abitazione, abbiamo incontrato la mamma venerdi' scorso al dispensario di Dirib: "a volte non sai proprio come aiutarli", e' stato il commento di una di loro.
A volte ci sembra di fare proprio poco, ma non siamo qui per fare... piuttosto per educare a prendersi cura. Come diceva il maestro che ha tenuto tre giorni di incontri per coppie, a cui abbiamo partecipato qui a Marsabit la settimana scorsa, la responsabilita' genitoriale e' indiscutibile: se sai di non avere il cibo necessario per sfamarne due figli, perche' ne metti al mondo un terzo senza curarti di cosa sara' di loro, e mettendoti la coscienza in pace dicendo "E' dono di Dio, Dio si prendera' cura di lui". Chi era nel letto quella notte? Tu con il tuo partner o Dio? Prendersi la responsabilita' delle proprie azioni aiutarebbe a rasserenare la vita di molti bimbi che, pur avendo i genitori, sono lasciati allo sbaraglio e con il peso costante sulle spalle di cosa mangeremo e con che cosa pageremo i libri, o le tasse scolastiche... E' la poverta'-irresponsabilita' che schiaccia e scaccia i sogni di una vita migliore. La Provvidenza lavora e mai come in questi anni qui L'ho vista all'opera, ma non La si puo' usare per negare le proprie responsabilita'. Come le ragazzine della nostra scuola ripetono spesso: "Do your best, God will do the rest"! E il mondo sarebbe sicuramente piu' "leggero" e tutti potrebbero apprezzare maggiormente la grande Bellezza della Vita che ci circonda e ci inonda!

sabato 24 marzo 2012

Wangu wa maisha - Mio per la vita


"Ondoka (ewe) Bwana harusi tembea wakuone,
ondoka (ewe) Bibi harusi tembea kwa maringo.
Njoo kwangu nikueleze neno moja toka moyoni mwangu:
nimekuchagua wewe, wewe wangu wa maisha,
tangu leo mimi na wewe ni kitu kimoja".


"Mio Sposo, vieni,cammina così che ti possano vedere;
vieni mia Sposa, cammina con stile.
Vieni da me, ti dirò una parola che arriva dal cuore:
ho scelto te, te per sempre,
da oggi io e te siamo una cosa sola".



Siamo ancora in Quaresima, ma a noi sembra gia’ di vivere la Pasqua di Risurrezione.
Non è facile ri-iniziare a scrivere dopo questi intensi giorni: è la consapevolezza di non poter raccontare il profondo, ma solo vivere. Intensi, certo: sono l’inizio di una vita nuova, una vita di coppia e di famiglia che sarà per sempre e allo stesso tempo sono continuazione di ciò che avevamo sempre desiderato, sognato, amato, vissuto. L’inizio di un compimento, che racchiude al suo interno tutto il gusto del “già”.
Benedetti con la presenza speciale della Madonna di Lourdes, giorno della Sua festa per la Chiesa Cattolica, oltre che con la presenza di tanti amici, di tutti i colori: Kenyoti, del sud e del nord, italiani, messicani, indiani, rumeni, spagnoli, tedeschi… Il mondo non è poi così vasto, sembra; in Cristo diventa UNO, così come lo siamo diventati noi: Patrizia e Michael. Due lingue, due storie diverse, due colori, due continenti, due persone che non si sarebbero mai incontrate se non ci fosse stato Gesù Cristo. Ma anche due persone con una sola grande missione: quella dell’amore. Entrambi decisi a dedicare il nostro tempo al servizio degli altri e del Vangelo, come missionari laici; entrambi forti abbastanza da lasciare il conosciuto per lo sconosciuto; entrambi con la consapevolezza di essere oggetto di un dono o di grandi doni e con un enorme grazie da dire a Dio per ciò che abbiamo ricevuto e riceveremo.
Non possiamo che celebrare questo regalo che abbiamo scelto, ma che allo stesso tempo ci ritroviamo tra le mani, pronti a continuare a testimoniare e a seguirLo, come singoli, come coppia e come famiglia.
Quel giorno, le cose sono state semplici, come avevamo desiderato, all’insegna della gioia e della festa. Alcuni giorni prima ecco arrivare la delegazione albese, guidata dai miei genitori, da mia sorella Mirella e dal suo fidanzato Simone, da don Gino e don Rinino, con una nutrita squadra di giovani e non, alcuni amici (tra cui la mia maestra delle elementari), altri conoscenti, altri sconosciuti (ma adesso non più)… per un totale di 20 persone. Tra le ultime cosette da fare (aggiustare la pompa dell’acqua per farsi un doccia almeno per il giorno del matrimonio; cambiare il letto da singolo a… “quasi matrimoniale”, disegnato da noi su misura, seguendo le promesse infinite di consegna del nostro falegname; fare lo shopping per il pranzo di nozze; dedicare un po’ di tempo agli ospiti; miniritiro spirituale di una mattinata; manicure e pedicure all’ennè, una controllatina ai vestiti da cerimonia, anche questi di nostra ideazione…), il tempo veramente vola, conducendoci alle porte del grande giorno. Con una rilassante cena al Pastoral Centre con gli amici italiani celebriamo il nostro addio al nubilato e celibato e ci prepariamo all’ultima notte da “single”: io a casa mia (quella che diventerà casa nostra) e Mike in parrocchia con il nostro testimone Felix e i suoi fratelli, familiari e amici da Nairobi. E se mentre la futura sposa dorme sonni tranquilli, il futuro sposo aspetta fino alle 2 del mattino l’arrivo della delegazione nairobiana, rimasta a piedi a 15 km dalla città, aHula Hula, per un guasto all’auto affittata per l’occasione! “E’ un vero matrimonio stile africano”, penso dopo aver saputo dell’accaduto: e di fatti iniziamo l’avventura!
Genitori, sorella e moroso bussano alla mia porta subito dopo l’alba, e in un momento mettono a soqquadro la casetta, che si adorna di palloncini e nastrini in men che non si dica. Vestito, scarpe e acconciatura della Parrucchiera Mirella e il gioco è fatto. Ecco la nostra testimone, Christine: arriva puntuale e bellissima, pronta per salire in macchina e andare in chiesa, la Cattedrale di Marsabit, dove ci atte
ndono le damigelle d’onore (il mio gruppo del Vangelo), tutte super vestite in tono e orgogliose del loro ruolo e le nostre bimbe dei fiori (ops… fiori non ne avevamo, quindi abbiamo usato eleganti nastrini a forma di… mazzo di fiori!): Qabale da Maikona, Guyato delle Suore Missionarie della Carità, Chuku del nostro gruppo del Vangelo e Margaret, nipotina di Mike, figlia del fratello Hamisi e Shirò. Dopo un veloce saluto alla delegazione “femminile” maikonese, in processione, a braccetto di mio papà che non sa più che dirsene di tutto questo movimento, ci rechiamo di fronte alla chiesa, dove incontro Michael, teso come una corda di violino, che quasi
si dimentica di salutarmi tanto ansioso e nervoso è! Anche i sacerdoti, giunti da tutte le parti della diocesi e da… oltremare, sono pronti, guidati dal Vescovo Mons. Kihara che celebrerà il sacramento con noi.
Le “Upendo Girls”, vestite per l’occasione, aprono la processione all’altare, danzando al ritmo del canto d’ingresso “Harusi” – “Matrimonio”, magistralmente cantato dal nostro coro della cattedrale. E sulle parole “Bwana harusi na bibi harusi, leo mmefunga ndoa ya maisha., Kaeni kwa amani kidededede” (Sposo e sposa, oggi suggellate le nozze della vita. Vivete in pace e con gioia), Michael arriva all’altare con Felix e zia Lona. Ora cammino anche io nella navata centrale. Non vedo nessuno, mi viene da cantare, guardo il crocifisso e il tabernacolo e il mio cuore dice grazie, “grazie perché per dono gratuito avete scelto me”. Gesù e Mike, per dono gratuito han scelto me. Mi sento piccola davanti a questo miracolo, ma piena di gioia. Il vescovo ci accoglie di fronte all’altare e poi passa il microfono ai nostri accompagnatori: a zia Lona e a Felix, a mia mamma e a mio papà per le ultime parole ai loro “bambini”, l’ultimo augurio, le ultime raccomandazioni. Ora, mi viene il groppo in gola e le lacrime fanno capolino ma… Michael mi accoglie tra le sue braccia e ci sistemiamo al nostro posto, all’inginocchiatoio magistralmente preparato dalle Charity sisters, così come tutto l’abbellimento della Chiesa.
Inizia la celebrazione, che mi dicono essere durata tre ore, in un misto di tre lingue: kiswahili per i canti e la liturgia della Messa, italiano per il vangelo e un po’ di predica, inglese per il rito del matrimonio! Sento forte e di fuoco la presenza di Cristo nella Parola, con il suo
Spirito: mi tocca il cuore e Lo riconosco tra di noi. Il vangelo di Giovanni che abbiamo scelto insieme e su cui abbiamo pregato ci rivela la verità su di noi e sul nostro donarci: “Io in loro e tu in me, perché siano perfetti nell’unità e il mondo conosca che tu mi hai mandato e che li hai amati come hai amato me”. Sogno di una vita per la vita, la nostra. Il desiderio di UNITA’ che da sempre ha abitato il mio essere, che mi ha spinta fin qui, è ancora quello che ci guida su questa nuova strada. La presenza di persone particolari ci fa sentire uniti anche a chi non ha potuto partecipare, ma sta pregando per e con noi. Il mondo ci sembra gigante e tutto contemplabile, allo stesso tempo e si rivela in un colore nuovo, unico.
Ci promettiamo di essere “veri” l’uno con l’altra sempre, in bellezza e difficoltà, in malattia e in salute e di amarci e rispettarci come creature uniche e dono di Dio, tutti i giorni della nostra vita. Coronati da un anello come segno, dono dei miei genitori, salutiamo i parenti e gli amici più cari, la prima volta come famiglia unita in Cristo. Gli alunni della scuola, tutti in uniforme, danzano e cantano con noi nella processione delle offerte. Dopo la fine della Messa, è un tripudio di gente, festa, colori, canti… e confusione! C’è un camion pronto per trasportare gli ospiti (invitati e non, non importa, ci sarà riso, spezzatino e coca cola per tutti!) alla scuola “Fr. John Memorial”, in cui si continuerà la festa. Non ci sembra vero!!! Andiamo al Santuario Maria Mfariji per alcune foto ricordo, lassù sul tetto del mondo, guidati dal nostro driver d’occasione Sr. Christine.
Quando arriviamo alla festa, la maggior parte della gente ha già mangiato, ringraziando l’impegno delle signore della parrocchia ai fornelli, ed iniziano subito gli intrattenimenti. Dai bimbi delle suore di Madre Teresa, alle ragazze di settima della nostra scuola che ci stupiscono con canti scritti da loro e una poesia di fine bellezza, dalle donne di Maikona, che ci benedicono in Gabbra con alcuni canti tradizionali, alle donne di Milima Mitatu, il Turkana Shelter Women group, che fanno ancora più bella la nostra festa. Poi il nostro gruppo del Vangelo, a cui ci uniamo per il ballo e dulcis in fundo, “Marieme, voi marieme” dei nostri piemontesini belli, che raccolgono applausi a non finire. Non smettiamo più di ridere, dopo che cerco di tradurre in inglese dal piemontese per mio marito e i testimoni. E’ il momento dei regali, un’infinità tra set di bicchieri, copriletti, lenzuola, casseruole, termos, gioielli Rendille e un gallo vivo (per la gioia di mio papà!), e del taglio della torta, magistralmente preparata da Nadia e dalle sue valide collaboratrici con il supporto tecnico di Henry e di sua moglie.
Colmi di nuova energia e di una straordinaria gioia, siamo accompagnati a casa, che lasciamo
dopo poco, alla volta del Pastoral Centre per finire con una cena tra… famiglie: quella mia e quella di Mike. Tra un buon bicchiere di Barolo e un confetto, terminiamo la serata in bellezza, ancora guardandoci e chiedendoci se siamo davvero sposati, se non sia stato tutto un ricco e veloce sogno!
Ma il matrimonio non è ancora finito: il giorno dopo partiamo presto per raggiungere Maikona, dove gli amici di Michael e i vari gruppi sono pronti per le nostre “seconde” nozze, in forma breve. La nostre sedie sono pronte di fianco all’altare e il parroco, padre Eugenie, ci dà di nuovo la sua benedizione e di nuovo ci scambiamo gli anelli. Purtroppo non abbiamo molto tempo per salutare tutti: terminiamo la visita con un altro “pranzo di nozze” – capra questa volta – preparato dalla parrocchia. Ci manca la festa tradizionale, i canti e la spontaneità delle donne… ma – ci diciamo – sarà per la prossima volta…
Al tardo pomeriggio siamo di nuovo a Marsabit. Incontriamo mamma Maria, appena arrivata da Kargi: più o meno capiamo che non c’erano macchine che venivano a Marsabit il giorno prima e quindi non è potuta venire alla festa. Ma vuole darci una pecora e salutare i miei genitori.
La stanchezza inizia a farsi sentire. Ma non c’è ancora tempo per riposare: l’indomani sveglia prima dell’alba alla volta di Nairobi con la mia famiglia. Sono pronti per il volo di ritorno e noi per la nostra “pseudo” luna di miele, in Uganda, per visitare le altre sorelle della mamma di Mike… Ma questa, poi, è un’altra storia!


giovedì 22 marzo 2012

domenica 8 gennaio 2012

Tra magi e pastori


Domenica sera è il tempo giusto per scrivere, finalmente. Domenica, festa dell’Epifania, che chiude il periodo natalizio, anche se noi il nuovo anno scolastico lo abbiamo già iniziato mercoledì scorso…
E’ un tempo strano questo. Tempo di attesa e tempo già venuto. Tempo che è sembrato di festa, ma che in realtà è stato un po’ superficiale, come la pioggia che nelle strade ha già lasciato spazio alla polvere, fine e rossa! L’ambiente non rende la cosa più semplice: anche il cristianesimo, il sentirsi di Cristo, è ancora superficiale e non incide molto nella vita quotidiana. Se la Chiesa qui ha un ruolo sociale e politico enorme, quello religioso – così come lo intendo io, da buona occidentale, con una vita di fede cresciuta a suon di ritiri, silenzi, canti significativi, momenti forti di preghiera, comunità in oratorio e in seminario – è ancora limitato. Troppo. E’ vero che non ho mai incontrato un ateo, ma neppure una persona in ricerca. Questo spirito religioso vitale che anima la gente d’Africa può, a mio parere, limitare il cammino verso la stella, il cammino di ricerca, fatto di dubbi, di salite, di domande, che ci permette di vedere dove il Signore è nato, così come han fatto i Magi. Eh sì, perché in fondo io mi sento abbastanza un “Magio”, con il suo lungo cammino di ricerca alle spalle, con valutazioni ponderate e tante volte dubbi filosofici sulla vita, sulla fede e sui massimi sistemi. Con una mappa in mano, che da’ un po’ di sicurezza nella traversata del deserto, e tante volte con gli occhi per terra cercando di non intrapparmi più, piuttosto che con il naso all’insù per scrutare la guida luminosa… Forse troppo tentennante a lasciare il castello di Erode per proseguire con decisione il viaggio… Studiosa, in ricerca. Fino a quando a quella grotta ci sono arrivata davvero, non una volta sola e non da sola. Ma con una comunità di credenti, con cui abbiamo condiviso le fatiche del viaggio e le sue gioie (la mia mente si affolla di volti, amici cari!)… Una comunità che in quel deserto c’era già passata e aveva tracciato un po’ di sentiero… come fanno i cammelli nel Chalbi: a forza di passare nello stesso posto anche le pietre lasciano spazio al colore nuovo della terra calpestata… Una comunità che è Chiesa e che, seguendo la stella fino a Betlemme “Casa del Pane” (quello che può saziare una volta per tutte!), ha visto con i propri occhi la Salvezza viva e attiva in questo mondo… “From far away the wise men came, to find the thiny King. In Bethlehem they worshiped Him. You star up in the heaven, without your holy light, they would still be searching somewhere in the night. Bethlehem star, how beautiful you are, shining in the darkness, guiding strangers from afar. Your light feels the heaven, His love feels my heart. So shine for me, my Bethlehem star”.
Tutti questi Magi… prima o dopo, sulla loro strada hanno incontrato i Pastori. Gente legata alle tradizioni, semplice, che non è abituata a guardare al di là da ciò che già conosce, che tuttavia sa come prendersi cura di un gregge, sa ciò di cui hanno bisogno e non esita a dedicarcisi ventiquattr’ore al giorno… Gente il cui senso della propria vita già lo possedeva, senza domandarsi più di tanto, radicato com’e’ nelle tradizioni e nella cultura della comunità… Pieni di paura quando gli angeli annunciano loro la nascita del Salvatore. Paurosi per un momento perché forse non aspettavano nessun Salvatore, ma coraggiosi, dopo aver deciso insieme, di avventurarsi fin sulla soglia di quello che pareva un avvenimento comune: la nascita di un bimbo. I pastori c’erano abituati, lo sapevano che quando vedevano un fuoco nella notte e sentivano i canti delle donne innalzarsi fino al cielo, un nuovo membro della comunità era venuto alla luce… Ma questa volta, dopo aver parlato con Maria e averle confidato ciò che gli angeli dicevano di suo figlio, se ne andarono lodando Dio. Così come avevano probabilmente fatto da tutta una vita, abituati com’erano ad affidare quotidianamente all’Eterno Essere la loro fragile vita nei pascoli lontani da casa. Magi e Pastori arrivano a Betlemme, arrivano a saziare la loro vita con Pane vero, attraverso strade completamente diverse, ma tutti camminano, si muovono dal posto che chiamavano casa e tutti, da quell’incontro, a quanto pare, se ne vanno cambiati.

Ritornando a noi, la convivenza tra Magi e Pastori non e’ sempre semplice: spiritualità diversa, concezione della vita diversa, solo l’incontro con il Salvatore unisce. Insomma, nella terra dei pastori, i Magi “troppo irriqueti” rischiano di morire di fame “spirituale”, più che di fame materiale! Per fortuna ci sono amici che mandano libri e condividono via mail, telefono, lettere e offrono un po’ di Acqua da bere. Inoltre, quello che mi aiuta anche tanto, oltre alla condivisione di vita con Mike, è insegnare religione in quarta, quinta elementare e terza media. I bambini e i ragazzi sovente se ne escono con belle e spontanee domande che mi obbligano a rimettermi in cammino dietro la stella o seguendo la voce degli angeli e arrivare alla Capanna per trasmettere il buon gusto dell’Incontro. E per dire ancora una volta, che pur con tante difficoltà, siamo fratelli, chiamati a formare un cuore solo. Bella missione!