lunedì 28 settembre 2009

Mani in pasta!

Domenica 20 e lunedi' 21 e’ stata festa dell'Eid al-Fitr. E' una delle piu' importanti celebrazioni islamiche. Dopo un mese di Ramadam, di digiuno e di preghiera, si preparano grandi banchetti, danze, musiche e canti, che durano tre giorni. Il venerdi' precedente sono stata svegliata nel cuore della notte da una sfilata di tamburi e bastoni che scandivano il ritmo a tempo. Un po' spaventata, ho pensato ad una organizzazione volontaria per tenere lontani gli elefanti; ho anche pensato a qualcosa di peggio... ma ho poi scoperto l'indomani che non era altro che un gruppo di musulmani che passavano a svegliare gli altri fratelli e ricordavano loro di mangiare durante la notte. L'indomani sarebbe stato l'ultimo giorno di digiuno. Domenica mattina, andando a Messa, sempre per le mie stradine secondarie, sono arrivata dietro il campo da calcio che si trova nel centro a Marsabit, proprio accanto alla strada principale. Un folla enorme, uomini con il vestito bianco e i loro bambini (maschi) accanto, seduti nel campo, sulla loro stuoia della preghiera, ascoltavano il loro imam, che dopo aver pregato infervorava gli animi e spiegava la festa che iniziava. Ad un lato del campo, si sistemavano le donne con le figlie, tutte rigorosamente con il velo sul capo, alcune anche sul viso, lasciando scoperti solo gli occhi. Gia' prima di giungere in centro, avevo notato alcune famiglie (un po' ritardatarie!) che si affrettavano a raggiungere il luogo della preghiera. Il papa' con il bel vestito bianco abbottonato davanti (di un bianco che a Marsabit fa impressione!) teneva per mano i suoi due figli maschi: il piu' grandicello aveva anche lui la tunica, verde scuro e un cappellino rotondo, nuovo, una misura piu' grande della sua, che gli cadeva un po' di sghembo sulla fronte. Il piu' piccolo indossava un completino nuovo e portava arrotolata sotto il braccio una stuoina. La mamma li seguiva, a pochi passi da loro. E il presidente Kibaki ha proclamato il lunedi' "pubblic holiday": scuole e banche chiuse, per dare la possibilita' ai musulmani, che in Kenya sono tanti, soprattutto sulla costa e qui nel nord, di festeggiare. E cosi' anche noi abbiamo fatto festa. E una festa ci voleva proprio, dopo la pienissima settimana trascorsa tra la scuola, la parrocchia, le normali faccende di casa, la preparazione dei corsi di Leadership per le scuole superiori, la compagnia a sr. Christine che era rimasta sola in convento. Da tempo mi proponevo di fare gli gnocchi: le patate non mancano e il tempo secco di queste settimane sarebbe stato perfetto! Cosi' ho approfittato di questa occasione e il lunedi' mattina, dopo aver messo a dimora la mia pianticella di avogado che era gia' cresciuta fin troppo nell'acqua e averla protetta da animali e bambini con una bella rete, ho preparato gli ingredienti. Stavo per iniziare a schiacciare le patate quando le due figlie di Hillary, mio vicino di casa, Flora 5 anni e Maria 8, bussavano alla porta, accompagnate da una loro amichetta di terza elementare, Betty. Che fare? La cosa piu’ semplice che mi e’ venuta in mente e’ stato… il lavoro di gruppo, non dopo un lungo e accurato lavaggio di mani e braccia. Abbiamo preparato la pasta e ci sia mo messe al lavoro! E infine, abbiamo cucinato i loro gnocchi e li hanno mangiati con gusto, con un buon ragu’! Vedere lo stupore e la gioia nei loro occhi, beh, ripaga di tutte le fatiche della giornata! Ognuna di loro e’ tornata a casa con un pacchettino di gnocchi per i genitori e con una condivisione culturale preziosa, anche per me! Infine, dato che la cuoca della missione aveva il giorno libero e padre Paolo era ai fornelli, sono andata a pranzo in parrocchia, e cosi’ ho portato a loro un po’ del frutto delle nostre fatiche della mattinata! Apprezzati da tutti!

lunedì 7 settembre 2009

Per salire sulla montagna...

Da qualche tempo stavo cercando di trovare un momento per andare al Santuario e alla tomba di don Tablino. Dopo la sua morte, tra un impegno e l’altro, non sono stata più frequente nelle visite alla cappella in cima alla collina… Forse anche perché ora manca lui. Approfitto di alcune ore libere il venerdì pomeriggio per mettermi in strada e affrontare la mezz’ora di salita verso la casa di preghiera. Mi vesto per bene, con una bella stoffa colorata avvolta attorno al viso e le scarpe robuste che mi ha lasciato Sarah. C’e’ poca gente in giro, sulla strada principale. Non ci passo da un bel po’ di giorni, perché quando vado in paese preferisco usare la stradina in mezzo alle case, dove almeno non passano auto e c’e’ meno polvere. Comunque non noto nessun cambiamento. Spingo lo sguardo avanti per cercare con gli occhi il sentiero che sale sulla montagna, ma vedo solo una spessa coltre bianca, come nebbia, ma che nebbia purtroppo non è. Mi copro la bocca con la mia sciarpa e proseguo. Impiego molto energie per combattere la forza del vento che mi sfida ad ogni passo. Attraverso un campetto, ricoperto di sacchetti di plastica, portati dal vento chissà da dove… e finalmente inizio la salita. Il Santuario impera maestoso sulle brulle vallate di Marsabit, dove le capre hanno finito anche i semi che per mesi erano rimasti speranzosi sottoterra. Giungo alla tomba di Tablino senza incontrare persona. Lo sento presente, vivo. Gli raccomando le persone che mi hanno chiesto di pregare per loro, soprattutto alcuni amici dall’Italia e anche la situazione della nostra diocesi di Marsabit e del lavoro pastorale. E poi, dopo un digiuno troppo lungo dalla Parola, mi siedo con la mia Bibbia, nella cappella del silenzioso Santuario e passo un’ora senza rendermene conto. Come arrivare all’acqua dopo una camminata sotto un sole cocente. Come rivedere la persona che ami dopo tanto aspettare. Il mio cuore riposa, come non faceva da tempo. E allo stesso tempo è vigile a cogliere i suggerimenti dello Spirito, che ridanno significato al mio essere qui. E alla sofferenza di esserci da sola. Dopo aver salutato father Dutto, me ne torno rappacificata a valle, passando a salutare le suore comboniane in parrocchia. L’indomani sarebbe stata una giornata all’insieme della comunione. In programma la festa della Beata Teresa di Calcutta, fondatrice delle Suore missionarie della Carità che lavorano anche a Marsabit. Alle 11 ci ritroviamo nella parrocchiale per la Santa Messa, presieduta dal vescovo. Canto con il coro e affatico anche un po’ la voce, assecondando per quando posso il timbro africano e diretto delle mie vicine. Pranziamo insieme sotto la tettoia delle Charity sisters e, dopo un breve saluto a padre Paolo, m’incammino verso casa senza voglia di raggiungerla, desiderosa - se solo potessi - di trascorrere un po’ di tempo in buona compagnia di fedeli amici. In Marsabit l’individualismo e la frammentazione sono quasi a livello europeo. Ognuno si deve costruire a fatica la propria nicchia di conoscenti e amici. Ancora diverso a Maikona e Kargi in manyatta… Ma anche quest’atteggiamento individualista si spezza nel cuore limpido dei bambini, che ormai conoscono quella “sister” che ogni giorno passa davanti a casa loro e dopo un primo momento di esitazione, mi corrono incontro con la manina tesa, gridandomi “yoya”, soprattutto quando vesto la gonna e non i pantaloni…! Nella camminata di ritorno incontro due bimbetti che avevo già salutato al mattino. Uno di questi non sa una parola di kiswahili, solo borana e mi fa ridere perché ripete l’ultima parola di tutto quello che io dico, forse cercando di rispondere alle mie domande. Si avvicina un amichetto, tre anni su per giù, ed io tendo loro la mano salutando con un “Nagat”, “arrivederci”. Lui mi prende la mano, la guarda e ci… sputa sopra. Sono certa lo ha visto fare dai suoi nonni o dal suo papà, in segno di benedizione per un ospite. E ripete il gesto, sorridente. Anch’io ricambio la benedizione, solo a parole però! Mi allontano e non riesco a trattenere il riso. Il Signore si sta davvero prendendo cura di me e mette segni ovunque, per rafforzarmi, per essere Sua testimone più fedele e… per curare quelle ferite che ogni tanto fanno ancora piangere il mio cuore. Ma che continuano ad alimentare un altro grande sogno della mia vita. Che è quello di “amare fino alla fine”, senza tenermi niente, in coppia, in famiglia. Alla sera ricevo diverse telefonate: mia mamma, che aggiorna sulla vendemmia dei Dolcetti; Moses, un missionario laico, che avevo conosciuto a Marsabit nel 2001 e che ora è preside di una scuola a Garissa; James Dokhe, il mio caro fratello di Kargi, che mi invita ufficialmente al suo matrimonio il 27 dicembre e l’altro mio prezioso amico James, reduce da un brutto raffreddore, ma di cui mi fa piacere sentire la voce. Vado a letto soddisfatta. Con tante parole amiche, e una benedizione che vale più di un tesoro.

venerdì 4 settembre 2009

Siccita': senza parole.

Primi giorni di scuola

Primi giorni di scuola.
Anche se una bambina non sono piu', continuo ad imparare.
Anche se questo per gli studenti di Marsabit e' l'ultimo trimestre dell'anno scolastico e gli esami di fine anno saranno alle porte tra due mesetti.
E' molto interessante inserirsi in una realta' come quella della scuola primaria "Memorial Father John Asteggiano". E' una scuola privata della parrocchia, ma negli ultimi anni aveva purtroppo registrato una regressione nell'organizzazione interna e nelle performances finali degli alunni.
Da questo mese ha un volto nuovo: father Paolo, arrivato a dicembre come me, ha deciso per una sua parziale ristrutturazione, grazie anche alle ottime offerte che continuiamo a ricevere dagli amici di Alba. Ogni classe un colore diverso. E tanti nuovi libri (qui il governo non da i libri agli alunni come da noi, con i cedolini, ma nelle scuole pubbliche e' la scuola stessa che riceve fondi per comprarne alcune copie da tenere nella libreria scolastica).
E i bambini (ma che dire del rinnovato entusiasmo dei maestri?!?) sono estasiati. Tutti i giorni, dopo il pranzo, preparato nella nostra cucina e consumato a scuola, arrivano a frotte in libreria per leggere, rinunciando a quel tempo generalmente dedicato al… gioco del calcio! :-)
Lo staff e' composto da undici maestri (tra cui il preside) piu' una segretaria, un cuoco, un "giardiniere" e il guardiano notturno. Conoscevo gia' alcuni maestri, come Fridah ed Emmanuel perche' sono buoni cristiani e li incontravo sempre in parrocchia. Il gruppo e' buono e rinasce rimotivato dai recenti cambiamenti. Inoltre, oltre l'orario di lezione, ci sono attivita' extrascolastiche, come "Pastoral care" (ossia una sorta di nostro catechismo-gruppo Acr), "Games" (sport collettivi), pulizia della scuola (fatta dagli alunni a turno, non ci sono bidelli!), counselling per le ragazze di sesta, settima ed ottava, "Children helping Children" (associazione che ha un nome anche in italiano ma ora non ricordo)... Inoltre una volta al mese i ragazzi cristiani della scuola sono chiamati ad animare la messa domenicale delle ore 8 in parrocchia. Tutti in divisa, ovviamente!
Per questo trimestre insegnero' CRE (Christian Religious Education) in classe quarta e quinta (tre ore a settimana in ogni classe) piu' un'ora di PPI (Programme di Pastoral Instruction) in ottava (la nostra terza media, anche se a volte i ragazzi hanno 15-16 anni).
Inoltre il giovedi' nella pausa pranzo, con Fridah, seguo il gruppo delle ragazze piu' grandicelle: oggi abbiamo scelto alcuni degli argomenti che andremo a condividere nei prossimi incontri, tra cui relazione tra figli e genitori, sessualita', sogni, tempo libero, innamoramento, la dignita' della donna (circoncisione inclusa)... Beh, insomma, una bella sfida!
Ruth, Charity, Robe, Tumme, Sogure, Moses, Abdul, Ali, Sabdio, Elizabeth... sono bravi ragazzi, disciplinati. Ti stanno ad ascoltare, se sei capace di attirare la loro attenzione. E per ora io con la mia pelle bianca di attenzione ne attiro fin troppa. Anche perche' penso che dalla fondazione di questa scuola sono la prima "mzungu" ad insegnare li' e generalmente loro sono molto lusingati. Anche se a me pesa il fatto di essere sempre diversa. Mi sento a casa, ci sto proprio bene qui... ma, tante volte mi accorgo che loro stanno con me perche' sono compiaciuti della mia presenza, un po' come si cercherebbe l'amicizia di una persona importante... perche' poi sai nella vita non si sa mai...! Ma poco per volta, quando impareremo a guardare al di la' dei nostri visi, scopriremo che c'e' da incontrare un essere umano... che non e' poi tanto diverso da me stesso.
Come ho scritto nella riflessione fatta durante il corso di aggiornamento con i maestri, ringrazio infinitamente il Signore perche' mi rendo conto di essere molto fortunata di essere qui. Ringrazio il Signore perche' mi ha dato il coraggio di lasciare la mia Italia, la famiglia, gli amici e il mio amato lavoro e i miei amati bambini per condividere questi miei giorni con questa gente di Marsabit.
Anche se oggi al ritorno da scuola pensavo a quanto mi mancano i bimbi che tra poco inizieranno la quarta elementare. E Pietro. E Mattia. Forse e' stata la cosa che mi ha fatto piu' piangere quando ero ancora a Monforte e stavo preparando la valigia per l'Afrika! E la maestra Sandra, che, senza saperlo, mi ha insegnato ad insegnare, a diventare una maestra, anche senza corso universitario. E le sfide combattute insieme a Pietro e a Mattia e le soddisfazioni e le arrabbiature. C'e' ancora tanto mio cuore la'. E non deve essere motivo di nostalgie. Perche'? "FACILMENTE SI DA' ESAGERATA IMPORTANZA ALLE PROPRIE AZIONI, DIMENTICANDO CHE ABBIAMO RICEVUTO DA ALTRI QUELLO CHE SIAMO DIVENTATI" (D. Bonhoeffer). E tutti questi "altri" che mi hanno formata e mi stanno formando stanno vivendo a Marsabit qui, in me, in questo momento. Come io sto vivendo ad Alba, a Monforte, a Torino, a Malta, a Zaragoza e in tanti altri posti, per quella piccola condivisione che ho dato un giorno a qualcuno.
Non c’e’ da aspettare il paradiso. E' gia' Comunione in Cristo.