mercoledì 20 luglio 2011

Riflessione

DA UN ARTICOLO DI ENZO BIANCHI

"Il P.I.L. misura tutto, eccetto ciò che rende la vita degna di essere vissuta. Può dirci tutto sul nostro Paese, ma non se possiamo essere orgogliosi di esserne cittadini».
Mi viene spontaneo tornare al discorso che Robert Kennedy pronunciò all’Università del Kansas nel marzo 1968 - solo tre mesi prima di essere assassinato - ogni volta che sento parlare di manovre fiscali, crescita economica, sviluppo sostenibile, deficit pubblico... Sì, perché credo che siano argomenti che non riguardano solo politici ed economisti.

Ma argomenti che dovrebbero aprire la riflessione alla qualità della nostra vita quotidiana e della convivenza nella società civile. E tematiche di questo genere dovrebbero essere affrontate con uno sguardo più ampio, non limitato a facili contrapposizioni tra economia di mercato e stato sociale o improbabili alternative secche tra crescita dei consumi e povertà incombente.

In particolare, varrebbe la pena di riscoprire la valenza di uno stile di vita e un atteggiamento nei confronti dei beni materiali e del loro uso che - come ha osservato il cardinale Tettamanzi - è «segno di giustizia prima ancora che di virtù»: la sobrietà. Ben più di un semplice accontentarsi di quanto si ha o della capacità di non sprecare, la sobrietà ha una dimensione interiore, abbraccia un modo di vedere la realtà circostante che discerne i bisogni autentici, evita gli eccessi, sa dare il giusto peso alle cose e alle persone.

Sobrietà a livello personale significa riconoscimento e accettazione del limite, consapevolezza che non tutto ciò che ho la possibilità tecnica o economica di ottenere deve forzatamente entrare in mio possesso: la capacità di rinuncia volontaria a qualcosa in nome di un principio eticamente più alto obbliga a interrogarsi sulla scala di valori in base alla quale giudichiamo le nostre e le altrui azioni.

La moderazione non è la tiepidezza di chi è indifferente a ogni cosa e si crogiola in un preteso «giusto mezzo», ma la forza d’animo di chi sa subordinare alcuni desideri per valorizzarne altri, di chi sa riconoscere il valore di ogni cosa e non solo il suo prezzo, di chi orienta la propria esistenza verso prospettive non ossessionate da un incessante «di più», di chi sa dire con convinzione «non tutto, non subito, non sempre di più!». Sobrietà è la forza interiore di chi sa distogliere lo sguardo dal proprio interesse particolare e allarga il cuore e il respiro a una dimensione più ampia.

La «crisi» che viviamo dal 2008 in realtà era già operante da tempo: chi osservava la situazione ecologica, chi non era cieco di fronte alle crisi alimentari, poteva forse prevedere la crisi finanziaria, quindi monetaria ed economica. Ma chi aveva e ha occhi capaci di discernimento poteva però rilevare una «crisi» ben più profonda, una crisi spirituale, una crisi dell’umanizzazione, un avanzare della barbarie.

Dopo la caduta del muro di Berlino c’è stato un abbaglio, una fiducia smisurata nel mercato che sembrava garantire quello stile di vita consumistico cui ci eravamo abituati da qualche decennio... Ora non si tratta di ritornare indietro, ma di tornare al centro sì, all’asse che permette alla politica di rendere possibile ciò che è giusto, ciò che è doveroso, ciò che è necessario al «ben-essere» autentico, di tornare all’asse su cui economia di mercato e solidarietà, competitività e coesione sociale possono interagire ed essere coerenti con la ricerca della qualità della vita umana e della convivenza sociale.

Solo tenendo conto di queste istanze si può uscire dall’attuale mancanza di visione sull’avvenire ed elaborare e realizzare un progetto di società a dimensione umana, altrimenti si continuerà a inoculare germi di sfiducia soprattutto nelle nuove generazioni, che intuiscono la necessità di non ridurre l’uomo a produttore-consumatore ma che tuttavia percepiscono la loro impotenza.

In questa ricerca, giustizia e solidarietà sono elementi che trovano nella sobrietà stimolo e sostegno. E questo, se era vero in una società rurale e dotata di scarsi mezzi, lo è paradossalmente ancora di più in un mondo e in un’economia globalizzati. Infatti, la sobrietà non è solo misura nei propri comportamenti ma anche consapevolezza del nostro legame profondo e ineliminabile con le generazioni che ci hanno preceduto, con quelle che verranno dopo di noi e con quanti, nostri contemporanei, abitano assieme a noi il pianeta.

Nell’usare dei beni di cui dispongo e nell’ambire ad altri, non posso ignorare la necessità di un’equa distribuzione delle risorse: accaparrarsi beni, sfruttare il pianeta, disinteressarsi delle conseguenze immediate e future del proprio agire significa alimentare ingiustizie che, anche se non si ritorcessero contro chi le compie, sfigurano l’umanità e offendono il creato stesso.

Solo una sobrietà così concepita può tracciare un cammino sicuro per la solidarietà umana o, per usare una terminologia cristiana, per una «comunione universale». E questa solidarietà non è tanto il serrare le file da parte di un gruppo sociale per difendersi da un nemico comune o da un’avversità condivisa, non è solo la reazione spontanea e generosa davanti a una sciagura, ma è - a monte di queste cose - la percezione che nostri sodali nell’avventura umana sono quanti ci hanno preceduto e hanno lavorato e lottato per consegnarci condizioni di vita meno precarie, sono coloro che verranno dopo di noi e ai quali riconsegneremo un patrimonio eroso dallo sfruttamento e sono anche, ben più presenti ai nostri occhi, quanti oggi stesso vicini a noi o lontani, non dispongono di beni essenziali per una vita degna e anzi pagano sulla loro pelle i privilegi di cui noi godiamo e che pretendiamo di accrescere continuamente.

Se non dimenticassimo questa solidarietà generazionale e mondiale, la sobrietà ci apparirebbe allora come l’unico stile di vita capace di restituire, a noi stessi per primi, dignità umana e senso dell’esistenza. In questo senso sobrietà e sviluppo non sono antitetici, se per sviluppo non intendiamo la crescita ininterrotta e l’accumulo incessante ma il pieno dispiegarsi delle potenzialità dell’essere umano, un fiorire delle risorse nascoste in ciascuno di noi che la stessa «decrescita» alimenta con la sua ricerca dell’essenziale. Davvero, la sobrietà ci fornisce gli strumenti per misurare noi stessi e il nostro rapporto con «ciò che rende la vita degna di essere vissuta».

Imparare la poverta'

In questi giorni sto finendo un libro regalo che ho apprezzato veramente molto: “Nel deserto il profumo del vento” di Giorgio Gonella, sulla ricerca di Dio nella vita. Mi sta piacendo molto perché mi sta dicendo che questo deserto fisico, quello del Chalbi o quello del Kaisut, che circondano le montagne di Marsabit, aiutano davvero a creare il deserto interiore in cui incontrare Dio. “Chi torna dal deserto sa apprezzare a fondo il valore delle cose più semplici, delle realtà più banali, delle persone più insignificanti. Guarda al mondo con occhi pieni di meraviglia. Ha acuito i propri sensi: vede di più, sente di più, ascolta di più”… Ciò che succede al pellegrino del deserto è un cambiamento a livello della sua visione del mondo (e qui mi vengono in mente le parole di tanti ragazzi che tornavano da un soggiorno missionario a Marsabit…), della sua ottica di fede, del suo sguardo, e questo ha un qualche impatto su tutta la sua personalità. Perché lasciando che i bisogni vitali si manifestino, si viene a contatto con l’”osso” della vita e con lo spirito di Dio, che si manifesta come Compassione universale. E’ una cosa che io ho desiderato fare, quella di lasciare tutto per venire qua. Ma per tanta gente è condizione “naturale”… “Per il povero cristiano delle bidonville d’Africa lo spogliamento, la nudità, il non-avere sono la condizione permanente. Un orrore quotidiano. Se la vita negli ambienti poveri è spesso marcata da mancanza di spazio e da promiscuità, è pure vero che coloro che vivono in stato di oppressione devono ingoiare ogni giorno la solitudine amara della loro sofferenza. Niente crea solitudine come una sofferenza che non riesce ad esprimersi. (…) Che dire della ferita dolorosa del desiderio? Il desiderio è sempre sanguinante. Anzi, dovremmo dire: la folla dei desideri, che sono “legione”. (…) I poveracci hanno questa grande forza: vivono sempre con gli occhi aperti sulla nostra condizione mortale. E senza drammaticità eccessiva: hanno poco da perdere. (…) C’è un “deserto di stracci” in cui la fede si purifica per la forza stessa delle cose. In cui la maturazione spirituale avviene alla scuola della vita. E’ la condizione di beatitudine descritta nel discorso della pianura (Lc 6, 20-23). La vita del povero è segnata dall’assenza, dal vuoto, dal non-essere. E soltanto il vuoto ci purifica dalle falsi immagini di Dio e ci apre alla comunione di vita, un rendersi vulnerabile, un lasciarsi portare. Cose che il povero vive in profondità, in maniera vita e quasi disperata. (…) L’esperienza dei poveri nel “deserto di stracci” ci fa scoprire Dio come “vento di compassione”, vivente e attivo nel cuore della storia dei vinti, degli sconfitti. Dio è compassione universale. La sua compassione “muove il sole e le altre stelle”. (…) Quando parliamo di compassione , ci riferiamo ad una forma particolare di amore, quella che nasce dall’impotenza. Non è l’amore del benefattore che fa piovere benedizioni dall’alto, né l’amore generoso che risolve i problemi dell’altro, né l’amore spettacolare che fa miracoli. La compassione è un vento di solidarietà sottile, ma profondo, che nasce da una condizione d’uguaglianza. E’ la mano sulla spalla di chi soffre accanto a te. Di chi è impotente come te e con te. E’ vento di comunione tra coloro che soffrono la stessa fame e la stessa sete. La compassione è l’amore del povero”.
Questo non è un elogio alla miseria: sappiamo che i poveri, individualmente, possono essere anche meschini, brutali, egoisti, approfittatori, a volte feroci. Ma quella dimensione di vuoto che sto percependo qui e che non ho mai percepito da nessun’altra parte. E siamo davvero sicuri che non ci siano più poveri nella nostra bella Italia? E non è un essere povero una persona che soffre, che è disorientata dal male o che è sola? Forse però non c’è più l’usanza di prendere questi momenti come “buoni”. Ci spaventa a morte sperimentare il bisogno, la mancanza, il vuoto, l’assenza,… il deserto. Che però è il terreno dove Dio si manifesta, dove la Provvidenza ha la libertà di agire e di rivelare il volto di Dio.
Quando sono venuta qui a Marsabit, ho scelto di non avere il frigorifero, la TV, l’automobile, internet in casa. Desidero e ho sempre desiderato una vita semplice e ora sono consapevole che questo desiderio veniva dal cuore di Dio perché io potessi fare esperienza di Lui in modo diverso, profondo, quasi umano. Mi dicevo: “Se ho tutto, non avrò bisogno degli altri. E io sono venuta qui per costruire comunione. DEVO avere bisogno degli altri, cominciando dalle cose materiali”. Tuttavia la prima povertà che ho vissuto quando sono arrivata qui non è stata legata alle cose materiali, ma all’essere sola. La solitudine mi ha spaccato. E’ stata la fessura dove Dio ha potuto entrare in modo diverso. O scappi e ti tormenti o ti fidi. Ti fidi di Lui. Ti fidi che ci sia una Provvidenza che si prende cura di te, che agisce nelle tue povertà (lo stesso pensiero l’ho ritrovato negli scritti della Comunità Cenacolo nell’ultimo numero della loro rivista “Risurrezione”), che ti fa prossima agli altri. Ma da sola non l’avrei mai imparato. Alcune delle persone con cui condivido la mia vita qui me lo stanno insegnando. E’ difficile. Ma quando il cuore finalmente si fida, si aprono orizzonti nuovi.
Come per esempio quando venerdì scorso Michael cercava di organizzare la sua venuta a Marsabit per andare a parlare al vescovo, ma da Maikona non ci sono trasporti sicuri, solo camion che passano occasionalmente di notte. Per un’emergenza al dispensario, la notte della partenza non è riuscito ad andare in paese e vedere se ci fosse un camion pronto per partire. E io intanto pregavo il Signore: “Non abbiamo la macchina, Signore. Abbiamo scelto di non averla. Questa nostra povertà sia per te terreno buono per mostrare la tua paternità verso di noi. Prenditi cura di noi. Ma comunque sia fatta la tua volontà”. Voi ci crederete che, dopo una notte insonne con il malato al dispensario, Michael è riuscito a partire alle 7 del sabato mattino con un fuoristrada che passava da Maikona e che in due orette l’ha portato a Marsabit. E la stessa cosa è successa la domenica pomeriggio, con un camion che l’ha riportato alla sua missione, pronto per ricominciare il lavoro puntuale il lunedì mattina. Bello, no?

martedì 12 luglio 2011

Chi non muore...


Il vento si sta riposando un poco stasera e lascia riposare anche noi per un breve tempo, dalla polvere, che invade Marsabit town e i nostri polmoni, case e scarpe, come la nebbia in pianura padana a novembre.
Il nostro cortile è quieto: non c’è anima viva in giro. I ragazzi della scuola sono ormai a casa, a scrivere sui loro quaderni a lume di lampada a petrolio come me, da 10 giorni a questa parte; le mamme ormai di ritorno dalla fonte (o dal camion cisterna privato che vende 20 litri di acqua al prezzo di un quarto del salario giornaliero di un manovale!) sono intente ad accendere il fuoco e cucinare mais e fagioli; gli animali – capre e mucche sempre più pelle e ossa, e in questi giorni anche i cammelli – sono già stati guidati dai sapienti bastoni dei loro pastori nei loro ricoveri per la notte.

Ripenso agli ultimi due mesi e vedo che la mia vita è cambiata ancora; dopo la “fuga” della segretaria della nostra scuola e la scoperta del suo “tasso di corruzione” (a discapito della scuola, ahimè!) e di come ha costruito dal niente una bella villa per la sua famiglia… ecco che il lavoro dell’amministratrice si è allargato e mi sono ritrovata segretaria alla ricerca quasi disperata di mettere in ordine tasse scolastiche, ricevute e quant’altro… E questo tra una festa a sorpresa per il mio compleanno (con la squadra di calcio di Maikona al completo!) e un viaggio a Maikona, tra la preparazione per la festa dei genitori nella nostra scuola e l'inaugurazione dell'asilo, tra un incontro di studenti di Azione Cattolica (a Sololo, Diriba Gombo e Marsabit) e una trasferta nelle verdi colline di Embu, dove la squadra di calcio dei giovanissimi della nostra regione, con Mike allenatore, ha partecipato ad un torneo…, tra una visita alla Mariopolis dei focolarini vicino a Thika e progetti per il futuro...