lunedì 20 dicembre 2010

Auguri



Carissimi Amici,
Siamo quasi giunti al termine del 2010 e ripensando ai giorni passati desidero dire grazie a tutti coloro che conservano e coltivano nel loro cuore e nelle scelte della loro vita l’affetto, la condivisione e l’attenzione per chi ancora vive ai margini, per chi tenta di rialzarsi in piedi ma gli vengono tagliate le gambe, per chi e’ schiacciato da una poverta’ nemica che non permette di sognare o di sperare in meglio. Non e’ Natale, se festeggiato da soli senza questi fratelli. Grazie a chi quest’anno ha deciso di viverlo in semplicita’, lasciando da parte “cose” e mettendo al centro l’uomo.
In questi giorni che precedono il Natale, vi auguro di potervi fermare in tranquillita’ e silenzio, lontani da luci, messaggi pubblicitari, lunghe code nei negozi, stress da regalo, per riposare un poco davanti alla grotta di Betlemme, dove 2.000 anni fa quel bambino nato da Maria ha cambiato la storia del mondo per sempre, firmando un accordo perenne di amore tra Dio e l’umanita’.
Con affetto e riconoscenza,
Patrizia

venerdì 19 novembre 2010

Due candeline!

E quasi me lo stavo dimenticando... ma ieri, 18 novembre 2010, sono stati esattamente due anni da quando quella mattina a Milano ho preso l’aereo che mi avrebbe portato a Nairobi la sera stessa, con i miei 40 kg di vita in valigia. Non è questo il luogo per fare una verifica della metà passata del mio stare qui come missionaria laica (ma sicuramente il tempo per la verifica è questo e spero che nei prossimi giorni avrò l’ispirazione, la pazienza e occhi attenti per scrivere al CMD), ma non posso non pensare a quante persone hanno camminato nella mia vita e a quante persone si sono lasciate incontrare e conoscere. Persone diverse da me, alcune arrivate come pioggia d’estate, altre delicate come neve sul prato, altre han lasciato fango e alcune han fatto fiorire boccioli… Di certo non sono quella che è partita due anni or sono. La mia vita si è mescolata, in bene e alcune volte in male, con quella di altri, in maniera esponenziale rispetto a come capitava quando ero in Italia. E sogno anche che chi mi ha incontrato e mi incontra se ne vada un po’ migliore, come tante volte succede a me. E poi penso a quanti chilometri le mie scarpe han macinato in questi 24 mesi, orse paragonabili a quelli che ho camminato nei miei primi 29 anni di vita! E a quante storie le mie orecchie han ascoltato e a come hanno inciso il mio cuore. Penso a quanti bimbi ho stretto le mani, a quelli mi sorridono e a quelli mi guardano strana perché mai avevano visto una con la pelle così scolorita, quasi malata! Penso ai banchi di scuola e ai miei alunni di quarta, quinta e ottava, alle loro vite in bocciolo, ai loro vissuti quaderni (che se li vedessero le maestre italiane svenirebbero per lo spavento!). Penso ai missionari con cui sto condividendo questo cammino, alle buone parole che ci scambiamo, all’affetto che ci sostiene quando la solitudine pesa troppo, alle torte gustate insieme, alle risate e alle confidenze con suor Pierina, alle discussioni su come fare missione senza creare dipendenza, su come portare Cristo in un modo giusto e capibile… Penso a tutte le persone che in questi due anni mi han fatto sperimentare che l’amicizia vera non muore, anche se non ci si vede fisicamente, perché la comunione del cuore e dello spirito è quello che davvero conta. E il mondo diventa piccolo, unico e unito. Penso a tutti coloro che han trovato modi vari e diversi per farsi prossimi, per superare l’individualismo che sembra soffocare le nostre belle colline piemontesi. Penso a chi non ha paura di scommettere in una vita e in un mondo diverso e lo fa scegliendo uno stile di vita consono, un modo di lavorare e di viaggiare alternativo, aperto agli altri. E poi penso a quegli occhi neri che stanno imparando a leggermi il cuore (ma che a volte ancora fanno un po’ fatica a… lasciarsi leggere!) e condividono con me un sogno e un amore. E non posso che essere contenta di questa scelta, tanto da valutare seriamente il rinnovo della convenzione per altri tre anni dopo novembre 2011. Consapevole che la mia forza non sarebbe bastata neppure per partire, figuriamoci restare!
Mi accorgo anche di come la mia fede sia diventata molto più essenziale, priva di parole poetiche che portano lontano da ciò che conta, ma indirizzata al fine…, saldamente legata alla Parola e all’accoglienza dello Spirito Santo. E mi rendo conto anche di quanto ho ricevuto, in termini di fiducia, di esempio di fede e di affidamento alla Provvidenza dalle persone che mi vivono accanto. Ma anche vedo bene quanto c’è ancora da fare, da testimoniare, da esserci e da esserci in un certo modo. A volte duro, secco, dritto, altre volte delicato, senza ferire, in punta di piedi, come vento leggero che ristora dal caldo sole…
Tuttavia non nego che alcune volte mi sorprendo ancora (ed è giusto così, perché mica so tutto o accetto tutto di questa cultura!) per il modo di vedere le cose, la vita, l’amore, il dopo, il futuro… dei fratelli kenyoti. E riflettevo in questi giorni, grazie a un fatto successomi, a come a volte qui le cose sono semplici. Lasciate che vi racconti come tante volte vengono a costituirsi le coppie, che dopo poco tempo scelgono di condividere il resto della loro vita insieme. E mi sembra di vedere nella concretezza il succo di quel detto africano che recita: “Voi europei sposate le donne che amate, noi africani amiamo le donne che sposiamo”! O come mi diceva pochi giorni fa un ragazzo: “Ci amiamo quando ci accettiamo a vicenda”. E’ abbastanza normale per un ragazzo originario di questa parte di Kenya avere in mente la propria “principessa”, le qualità che deve avere per essere una buona moglie e una buona madre (le due cose qui non sono scindibili: deve sapere tenere la casa, cucinare, lavare, allevare i bambini, essere ubbidiente, servizievole e non porti disonore al marito!), i valori che sostengono la sua vita, il suo stile di essere e di presentarsi (timida, preziosa, di poche parole, sorridente…). Le amicizie femminili che vengono coltivate fin dall’adolescenza non hanno altro scopo se non quello di avere un mazzo abbastanza grande di ragazze tra cui scegliere. E tutto questo viene fatto quando il ragazzo, spinto tante volte dalla pressione sociale e dalla sua famiglia (quando non è la stessa a suggerire per lui esempi di ragazze a modo, degne del matrimonio!), decide che è arrivato il momento di sposarsi e di formare una famiglia e di dare contributo alla specie umana (fortissimo qui questo senso!). E così quella che era solo un’amicizia di poche parole e di sguardi diventa nel giro di un paio di mesi un impegno per la vita, candido e puro (nel senso che non sono ammesse “troppe” effusioni, quasi non si sfiorano!), se la ragazza non è già stata “prenotata” (lett. “booked”!) da un altro pretendente. E’ difficile che una ragazza rifiuti. Anche lei nel suo cuore coltiva alcune amicizie maschili con la speranza che un giorno uno di questi ragazzi arrivi a casa sua per parlare con suo padre.
Non si pensi che per i ragazzi di Marsabit e dintorni che han studiato, anche fino all’università, le cose siano poi tanto diverse. Magari invece di un paio di mesi, ci impiegano un anno… Ma la procedura è alquanto simile. Da amici di famiglia a mariti! E se, come nel mio caso non ho qui presenti i miei genitori, i pretendenti vengono a parlare direttamente con me, dicendomi esplicitamente che han visto questo e quell’altro in me e che queste caratteristiche sono gradite e che, se io accetto, sono pronti a fidanzarsi con me, a “prenotarmi”. Da questo momento, a livello sociale, ai due è permesso vedersi qualche volta in pubblico, magari per bere una coca insieme o camminare un po’, per conoscersi meglio. L’innamoramento e l’attrazione ci sono, ma la decisione non dipende da quelli.
Ecco… poi tante volte succedono cose per me non logicamente spiegabili. A dispetto di tutto questo rispetto e candore per la propria futura moglie, al ragazzo (fin dall’adolescenza, o almeno dai 18-20 anni) è permesso cercarsi amanti con cui avere relazioni sessuali, che devono rimanere segrete. E le cerca tra le donne sposate (perché le ragazze non ancora sposate dovrebbero arrivare vergini al matrimonio ed e’ una vergogna, un taboo sociale essere sorpresi con una ragazza nubile, tanto più se poi lei rimane incinta). Tutto ciò in segreto, cercando di non essere sorpreso dal marito (che comunque è il primo che va con altre donne e quindi sa, ma chiude un occhio o tutti e due!). E anche qui, sono poche le donne forti che dicono di no e alcune volte succede che concepiscono bambini non dal proprio marito, ma senza che il “matrimonio” ne risenta. Il divorzio non è veramente in questa mentalità, almeno non per l’infedeltà. A volte penso alle nostre coppie cristiane, a come devono veramente lottare contro questa mentalità per mantenere il loro amore fedele e sicuro.
Nei corsi di educazione che portiamo avanti nelle scuole cerchiamo sempre di minare questo modo di pensare, presentando la mutua appartenenza e il particolare amore tra moglie e marito come cosa buona, profumata, di cui innamorarsi. A meno che non ci si innamori del Bene, non avremo le forze e l’autocontrollo per dire di no alle cose che dispiacciono il Bene e la Bellezza. Penso sia un cammino personale e comunitario lungo e complesso, che forse anche nel nostro cattolicissimo Piemonte e’ stato mascherato per tanto tempo dietro a taboo, paure e dogmi. Ora cadendo quelli, l’immoralità è dietro la porta. E dico immoralità per intendere la “bruttezza”, quello che non è origine di pace e serenità, di Bellezza interiore ed esteriore.
Sentiamoci uniti in questa battaglia per… ri-innamorarci della Bellezza, che e’ una battaglia comune a tutto il mondo.

sabato 30 ottobre 2010

Ingiustizie

Alcuni giorni dopo la prima pioggia (e non e' che sta piovendo molto, una pioggerella ogni notte) e gia' ci incantiamo a contemplare i fili verdi che quasi all'improvvisoo hanno fatto la loro comparsa nel nostro cortile, noncuranti dell'erba secca e della plastica che la fan ancora da padroni. E questo verde brillante e' davvero relax per gli occhi, stanchi di polvere e di... ingiustizie.
E si', perche' ogni giorno, negli ultimi tempi, sembra venire fuori qualcosa che mi riguarda e mi tocca e che richiede un intervento chiaro e giusto, a favore dei piu' poveri dei poveri e della coerenza e limpidezza con chi ci aiuta.
Cerco sempre di non agire sotto impulso della rabbia, che in questi casi non puo' che essere presente (e per fortuna che lo e'!)... ma alcune cose mi battono talmente sui nervi che vorrei ribaltare il mondo al contrario! Come quando scopro che nella cucina della nostra scuola, per il pranzo dei nostri ragazzi, usiamo cibo che arriva dal "relieve food", ossia il cibo che il governo manda GRATIS a tutte le comunita' in caso di siccita'. E dico tra me e me:"Finalmente, il preside si e' deciso a fare domanda all'ufficio governativo per avere un po' di cibo, dato che lo danno anche alle scuole!". Peccato che scopro, parlando con il cuoco e con father Fred, che no, il cibo non ci e' arrivato gratis come avrebbe dovuto, anzi il padre incaricato della scuola l'ha comprato da un altro prete che l'ha comprato o ricevuto gratis dal Governo!!!
E cosi' ci stiamo mangiando il riso che era destinato alle famiglie che ne avevano bisogno... e in piu' l'abbiamo illegalmente comprato e pagato!!! Che tristezza!
Grazie a father Fred, stiamo anche cercando di mettere un po' di ordine in quelli che sono gli sponsor (cioe' i bambini per cui paghiamo le tasse scolastiche) e scopriamo con indignazione, che parecchie delle famiglie sponsorizzate sono famiglie con embrambi i genitori ben impiegati e alcuni di questi bambini hanno anche altri sponsor da ONG che pagano direttamente la famiglia l'importo delle tasse scolastiche e non solo... E uno dei questi e' un nostro catechista! Cosi' per alcuni, doppio sponsor!
Rimaniamo senza parole, ci chiediamo come mai in passato sono stati ammessi casi del genere, chiudendo un occhio o tutti e due gli occhi... e il preside ci dice che e'... per amicizia..., gente vicina alla chiesa, nostri cristiani, per fare loro un favore... E magari sono rimasti fuori dalla nostra scuola o hanno dovuto trasferire i loro figli altrove, famiglie che non potevano veramente pagare e che non avevano nessun aiuto da nessuna parte. E cosi' invece di aiutare proprio le persone in situazioni piu' complicate e difficili e dar loro un barlume di speranza, aiutando i loro figli ad avere una buona educazione e cultura e accesso a ottime scuole secondarie per poi davvero avere la possibilita' di avere un buon lavoro... ecco che noi fino ad adesso abbiamo preferito pagare le tasse a chi i soldi ce li aveva... cosi', per amicizia!
Una cosa e' certa: ora con father Fred le cose cambieranno piano piano perche' c'e' la volonta' di fare giustizia e di agire giustamente... e di visitare a casa tutte le famiglie a cui paghiamo le tasse scolastiche dei figli.
E poi anche il nostro famoso gruppo delle donne... Scopriamo che... non hanno piu' soldi da reinvestire nel loro business, come invece dovrebbe essere... dato che avrebbero dovuto togliere una piccola percentuale da ogni ricavo, per ogni oggetto venduto... E cosi' vengono da me e dalla suora a mendicare di imprestare loro i soldi per andare avanti nel loro lavoro... E in questi ultimi due anni, davvero i giovani di Alba ci hanno aiutato tanto tanto nella vendita dei loro manufatti e i soldi non sono mai mancati e neanche il mercato! E allora, i soldi che avrebbero dovuto essere lasciati in ufficio per il reinvestimento dove sono finiti?
Anche in questo caso, chiarezza sara' fatta, con modi e vie pienamente e umanamente sostenibili, per il bene comune e la serenita' di tutti!

lunedì 18 ottobre 2010

Ricerca...

“Mungu anaweza”, “Dio può, Dio è capace!”: è la voce del pastore della “God’s power Church” (“la Chiesa del potere di Dio” di Ruaraka), che tiene una specie di show sulla tv nazionale kenyota. Non è una cosa inusuale sentire parlare di Dio la domenica qui in Kenya: per radio, per televisione, sui pullman e pulmini in Nairobi, si trasmettono programmi e musica religiosa a tutto volume fin dalle sette del mattino. E poi le varie chiese (o sette, come vogliamo chiamarle?) mettono fuori per strada i loro altoparlanti e iniziano con i loro “alleluia- amen” i sermoni accompagnati da ritornelli cantati e lettura della parola di Dio a tutto spiano. Pastori e predicatori (improvvisati o no) scelgono posti strategici, parchi, incroci stradali, giardini pubblici, per radunare gente con le loro parole e magari le loro preghiere di guarigione.
A parte gli eccessi, che esistono abbondanti, la religiosità del popolo kenyano (o dei popoli kenyani… ma questo è un altro discorso!) permea tutta la loro vita pubblica e privata. E mai sentirete il presidente o qualche altra personalità pubblica concludere un discorso senza citare Dio e senza benedire i presenti.
Dio entra dappertutto, non solo nei pubblici comizi, ma anche nella vita quotidiana: dagli auguri per un bimbo appena nato, alla lettura delle vicissitudini giornaliere (anche quelle dipendenti puramente dalle decisioni e dalle responsabilità umane), dalle parole di incoraggiamento in una situazione difficile al ringraziamento per il bestiame che si possiede…
Dio entra dappertutto, ma troppe volte si vedono scollamenti così grandi tra ciò che si dice e ciò che si decide e si fa’, da mettere i brividi.
Ed è forse per questa ragione, per questa incoerenza di fondo e poi per la ricerca di un senso profondo a certe questioni (la vita, la malattia, la morte, la sofferenza) che le “chiese-funghi” (perché spuntano ad ogni angolo come funghi!) hanno tanti adepti. “We care – God heals” (Noi ci prendiamo cura, ci interessiamo – Dio guarisce) han scritto sullo schermo, mentre il pastore spiega come nel 2005 e anche recentemente due seguaci del suo gruppo che erano HIV positivi, sono stati completamente guariti da Dio, tramite le sue preghiere. Immagini di gente sulla carrozzina che miracolosamente cammina, di bambini disabili che si mettono a parlare o a muoversi… E dietro capisco come quest’uomo intelligente ha capito il bisogno profondo dell’uomo d’oggi (bianco o nero che sia): il sentirsi amato, il cercare risposte credibili alla sua sete di senso esistenziale.
E poi, ovviamente, il buon pastore in giacca e cravatta non si dimentica di indicare come donare soldi (perfino tramite SMS) per permettere alla sua opera di salvezza di proseguire…
Immagini di un salone gremito di gente che applaude e che attenta fissa gli occhi sul pastore che predica. Mi viene in mente la prima moltiplicazione dei pani di Gesù: “Vide molta folla e si commosse per loro, perché erano come pecore senza pastore” (Mc 6, 34). E per lo più, sfruttate da un mondo banale che vive per il dio denaro e non si preoccupa di usare a fini commerciali anche il più alto dei desideri umani: la ricerca di amore e di senso.

venerdì 15 ottobre 2010

Canta il sogno del mondo

Grazie a Elena per la bella dedica. Troppo bella per tenerla solo per me.

"Ama
saluta la gente
dona
perdona
ama ancora e saluta.
Dai la mano
aiuta
comprendi
dimentica
e ricorda
solo il bene.
E del bene degli altri
godi e fai godere.
Godi del nulla che hai
del poco che basta
giorno dopo giorno:
e pure quel poco
- se necessario -
dividi.
e vai,
vai leggero
dietro al vento
e al sole
e canta.
Vai di paese in paese
e saluta
saluta tutti,
il nero, l'olivastro
e perfino il bianco.
Canta il sogno del mondo
che tutti i paesi
si contendano
di averti generato."


(Il grande male, Mondadori)

sabato 9 ottobre 2010

Dal mosto al vino...


Giornate piene di bambini. Anzi ricche di bambini.
Pochi giorni fa è nata Cornelia, la figlia di mio fratello James e sua moglie Mary, che si sono sposati a Kargi a dicembre 2009. E’ voluta venire al mondo quando era ancora troppo piccola e ora dorme nella pancia artificiale che la scalda e la aiuta a crescere. Ma ha due genitori che la chiamano “dono di Dio” e di certo Dio la protegge.
Non così fortunata come i due neonati da poco arrivati dalle suore di Madre Teresa qui a Marsabit. Uno è stato dato alla luce nell’ospedale di Marsabit, ma la mamma, poco sana di mente e non sposata, ha tentato di ucciderlo durante la sua prima notte di vita. I dottori l’han salvato e senza dir niente alla mamma, l’han affidato alle cure delle suore. L’altro, figlio di nessuno, l’han trovato sul bordo della strada non lontano dalla chiesa, infagottato e piangente, con ancora l’ombelico non guarito e una fame da lupi. Una mamma che al mattino presto passava nei pressi si e’ accorta di lui e ha chiamato la polizia. Che lo ha portato alla Hope House, la casa delle suore di Madre Teresa. Sono passata a vederli l’altro ieri, nei loro bei lettini tutti in ordine, infagottati nelle loro copertine e curati dalle signore che lavorano nella casa. Appena nati e già un passato così pesante sulle loro piccole spalle.
Ma d’altronde se andiamo a Nairobi nelle case per i bambini – i cosiddetti orfanotrofi – sentiamo raccontare decine e decine di storie così, mentre giochiamo con i bambini e osserviamo i loro capelli pettinati, i loro occhioni che scrutano il mondo e la loro voglia di vivere.
Come la storia di Adano che ho già raccontato e che e’ passato di qui, da casa, proprio pochi minuti fa dicendomi che domani pomeriggio – domenica – al collegio daranno il pomeriggio libero e lui… non sa cosa fare. E’ qui da solo, non ha nessun parente a Marsabit, molti degli altri alunni andranno a casa dalla mamma. Gli ho detto che io probabilmente non sarò a casa perché ho il gruppo del vangelo, ma lui può venire a giocare con i bimbi del nostro cortile. Flora e Humulat sono stati contenti di sapere che avranno un altro compagno di giochi e so di certo che Adano godrà della loro compagnia.
Oggi pomeriggio sono arrivata in parrocchia prima del solito e ho approfittato per seguire alcuni minuti Rai International. Immagini girate dall’elicottero che volava sulle campagne toscane e umbre, con un filo di nostalgia, mi han riportato per un attimo a casa, a Monforte, dove in questo momento il mosto bolle nelle botti, embrione di quel vino adulto che berremo tra qualche anno. Mi sono tornate alla mente belle immagini e… i profumi, che dopo aver messo la macchina in garage, salendo le scale per la cucina, riempivamo le mie narici i primi giorni di scuola, da alunna e da maestra. Un profumo segno di qualcosa che va formandosi nel buio della cantina, segno di un lavoro che non si ferma mai, di un amore, di una cura che porterà questo succo d’uva ad avere una sua etichetta e ad essere degustato in cene, che sarà sposato con cibi scelti, che porterà quel tocco in più quasi indispensabile ai nostri palati langaroli, segno di un incontro riuscito, di una festa felice, di una compagnia condivisa. Un mosto bambino il cui scopo e’ diventare un vino adulto. E non un adulto qualsiasi, il migliore vino che può essere.
Così come i nostri bambini. Tutti i bambini del mondo. Anche quelli che nascono già segnati in qualche modo. Un seme già sbocciato, che vuole diventare albero. O fiore. O erba. Ma il migliore che gli e’ dato di essere. E che cresce piano piano. Senza fretta. Aiutato da tante mani, alcune sapienti altre meno. E che ha bisogno di avere un serbatoio pieno di amore in sé, anche senza giocattoli, anche senza videogiochi, anche senza menu firmati dal nutrizionista (vorrei che ne venisse uno qui a firmare i nostri menu: polenta, fagioli, riso, cavoli, patate e poi si ricomincia!), anche senza assicurazioni di poter studiare fino al termine delle scuole medie o superiori perché non ci sono i soldi per farlo, anche senza essere lindi tutti i giorni da testa ai piedi.

Adulti in bocciolo che mi disarmano. Come un paio di giorni fa, quando al ritorno dal lavoro stanca e impolverata, volevo fare subito una doccia e poi rilassarmi un po’, ma mi trovo Humulat alla porta di casa appena arrivo. Gli spiego le mie intenzioni e lui mi dice che sta a giocare fuori. Bravo bimbo! Entro nel bagno, mi faccio la doccia e poi esco inviluppata nel mio asciugamano e… mi spavento e faccio un salto indietro: Humulat seduto per terra, nella penombra, vicino alla porta d’ingresso mi guarda serio e mi dice: “Ti voglio aspettare qui”. Gli sorrido: fantastico bambino dalla disarmante semplicità! Ecco la mia “Maria” che seduta ai piedi di Gesù sapeva dove riporre il suo cuore e che qualità dare alle sue relazioni. E come lo scorso lunedì, dopo essere stata il week end a Maikona, mi ero appena svegliata, quando ho sentito bussare alla porta. “Chi e’?”. “Sono io!”… Eccolo qui, il nostro Humulat: “Ma che ci fai già in piedi alle 6.20 di mattina?”. Gli occhietti ancora semichiusi e la faccia gonfia dal sonno, come se fosse saltato giù dal letto un minuto prima: “Sono venuto a salutarti perché ho visto che sei tornata!”.

Tante volte siamo tentati di pensare e di insegnare, soprattutto noi europei, che prima dobbiamo essere buoni, giusti, dobbiamo “crearci la salvezza”, essere perfetti e poi possiamo seguire Gesù. Ma i nostri bimbi ci insegnano in modo diverso; la vita, anche di coppia, ci insegna in modo diverso. E’ il viaggio con Lui e con gli altri che ci salva. Non la condizione di partenza di essere buoni e perfetti. O la convinzione di saper amare o di essere cristiana. E’ invece la missione qui che mi fa di Cristo, non il contrario. Non importa che peso ho caricato sulle spalle. E’ durante il santo viaggio che vengo salvata, che cresco, che imparo ad amare, perché e’ durante questo viaggio che assaporo il suo amore.
Come i bambini…

martedì 14 settembre 2010

Pillole d'Africa - Quando i nostri piedi camminano nella terra rossa



AFRICA...per tanti un continente come un altro, mentre per alcuni un “SOGNO” da voler realizzare. Ed è stato proprio così che, tra luglio ed agosto, per alcuni giovanotti si è concretizzata l’idea di vivere un’ “esperienza africana”, precisamente in Kenya.
Raccontare e cercare di dare un significato a tutto quello che abbiamo visto e vissuto non è semplice, perchè questa terra, rossa come il fuoco, ha una moltitudine di facce, e questa moltitudine di facce a sua volta ha una miriade di sguardi diversi, e cosa ti fa provare e sentire dipende tutto da come le guardi e da come le interpreti...
In questo mesetto che abbiamo passato in questo paese affascinante sotto ogni punto di vista, ci siamo accorti che è pieno di contraddizioni e di fatti ai quali non riesci a darti una spiegazione, sembra davvero di essere in un altro mondo.
Le domande che ti invadono sono tantissime e non ti lasciano stare..ti assalgono una dopo l'altra e tu non riesci a darti una risposta.
In centro a Nairobi, la vita non sembra esser molto diversa dalla nostra, ma man mano che ci si allontana dai palazzi e dalle strade trafficatissime, TUTTO cambia VELOCEMENTE, la povertà inizia a fare capolino e diventa sempre più profonda ed insolente, fino ad entrarti dentro e scuoterti. In mezzo alle baracche di Korogocho non è stato facile reggere l’impatto.
Da Nairobi però ci siamo allontanati, fino ad arrivare alla VERA Africa, quella dove le comodità come luce, acqua e gas NON son per tutti, dove le strade non son ricoperte d’asfalto, ma da sassi e polvere e che, insieme a buche e animali , rendono il minimo spostamento un’AVVENTURA !
Purtroppo l’Africa è TANTA povertà, che nessuna foto o filmato possono veramente far capire, solamente vedendola con i propri occhi si può iniziare a percepire e conoscere.

Nonostante questo l'Africa è anche tanta allegria, forza, fede, bellezza e serenità, che ti invadono giorno per giorno e lasciano dentro di te un senso di pace..
I suoi colori forti, i suoi odori, le notti dove le stelle la fanno da padrone lasciandoti a bocca aperta, l'aspettare il sorgere e il tramontare del sole, la sua musica..
I sorrisi, le strette di mano, la gente e i loro profumi, i loro mille saluti, la generosità e la loro ospitalità ti spiazzano quasi fin a farti star male e sentir in colpa.
E poi, l’Africa è fatta da MILLE e MILLE visini neri, bambini che con il loro : “How are you ?” cercano di rubare la tua attenzione, un tuo saluto o un tuo abbraccio che li possa rendere, per un istante meno “SOLI”, ricevendo in cambio, una felicità ENORME per gesti che, nella nostra realtà, sembrano ormai andati persi.
Le loro risate e i loro sguardi che ti scrutano e ti studiano quasi fossi un alieno, la loro allegria e vivacità ti entrano dentro senza chiederti il permesso, poco per volta ti penetrano e senza che tu te ne accorga iniziano a far parte di te.
E poi ancora a colpirti sono la forza e la fede dei Padri e delle Suore, dei missionari laici (w Patrizia!) che sono li e che spendono quotidianamente la loro vita per gli altri. Un grazie davvero enorme va a loro, per tutto quello che fanno, per come ci hanno accolti: vi ricorderemo per sempre nelle nostre preghiere!
Paura tanta paura di tornare, guardando dal finestrino dell'aereo già ci manca la sua terra..
È proprio VERO, il mal d’Africa esiste, appena tornato vorresti ripartire, ti prometti e riprometti di tornare e per questo speriamo di poter dire: ARRIVEDERCI continente nero.

Giorgia, Roberta, Francesco, Elena e Selene

mercoledì 1 settembre 2010

All'alba di un nuovo giorno


Ecco che riesco a ritagliarmi di nuovo un poco di tempo con una connessione internet decente e allora proseguo il racconto...

Gli altri due giorni trascorrono in modo meraviglioso. Con il simpatico Matongo, cognato di Richard e professore alle superiori, scopro da dove arrivano le sculture di pietra saponaria , parecchio famose anche in Italia. E mi stupisco per il duro lavoro che ci sta dietro, dall’arte di questi semplici scultori che da un pezzo di pietra informe ti sanno tirare fuori un uomo pensatore, un abbraccio tra mamma e bimbo, un animale, un piatto decorato, un portacandela… E purtroppo capisco che dietro a tutto questo bel mercato, c’e’ chi ci mangia a sbaffo, pagando una miseria questi primi lavoratori della catena produttiva (se paragoniamo al prezzo che noi paghiamo in Italia per una di questa sculture!).

Vivo con la famiglia di Matongo e Mary, sorella di Richard, e le loro due belle bambine, che subito si affezionano, il “katiba day”, festa nazionale in cui viene promulgata la nuova costituzione passata con referendum popolare il 4 agosto.
“Leo amezaliwa Kenya mpya!”: “Oggi nasce un nuovo Kenya”, un giorno storico per questa nazione, un’alba nuova perché, dopo 47 anni dalla liberazione dagli inglesi e la costituzione come Repubblica, oggi la legge base del Kenya è stata fatta ed approvata dai Kenyoti. Con tanti cambiamenti, soprattutto sui diritti umani e sull’organizzazione statale, ma di certo è una strada migliore rispetto a quella percorsa finora. E mi ha fatto effetto vedere tutti i parlamentari e i membri del Governo, presidente Kibaki compreso, sfilare davanti al giudice per il giuramento.

Dopo un sabato notte di temporali e pioggia a catinelle (e mie preghiere perché la pioggia smettesse almeno per due ore, tempo di raggiungere la città senza infangarci fino al ginocchio!), partiamo alle 6.30 da casa rifacendo all’inverso il percorso dell’arrivo. Arriviamo a Kisii dopo un’ora e mezza ed andiamo a messa in una delle parrocchie della città, in una chiesa che assomiglia più ad un salone che ad un luogo di preghiera e poco concilia il raccoglimento. Incontro, per Provvidenza (che qui lavora incessantemente!), una delle suore francescane che lavora in una delle parrocchie della nostra diocesi, Sololo, e così scopro che anche lei è una kisii ed è lì per alcuni giorni di vacanza. Mi rendo conto come, anche per lei, deve essere difficile vivere nel deserto, senza verde e con pochi alberi…
Saluto e ringrazio di cuore Richard e salgo sul primo matatu per Nakuru, dove dovrò cercarne un altro per Nanyuki, dove finalmente mi fermerò nella nostra casa diocesana per dormire e confermare il passaggio per Marsabit. Sono un po’ preoccupata perche’ parto tardi e arriverò di notte, il che non è molto buono per una bianca che viaggia da sola! Ma tutto fila liscio e dopo una veloce cena e una bella doccia, finalmente vado a riposare.
Le avventure vacanziere non sono ancora finite, scoprirò il giorno dopo. Entrambi i possibili passaggi su macchina che avevo per Marsabit saltano. Decido di partire per Isiolo con il fedele matatu e la Provvidenza non mi da’ tempo di pensare che si è dimenticata di me. Infatti incontro alla fermata due suore indiane della congregazione delle Nirmala sisters che conosco bene. Loro sono diretta a Wamba ma, intanto, facciamo un pezzo di strada insieme. Arrivate ad Isiolo, mi accompagnano fino al posto dove partono i bus per Marsabit e poi procedono per la loro destinazione.
Un vento folle carico di polvere e di sole mi ricorda che il verde di Kisii è lontano e che ormai sono entrata nella mia usuale parte di Kenya! C’e’ da aspettare, vado alla locanda che so essere gestita da Borana di Marsabit e subito incontro uno dei maestri della nostra scuola, con cui spenderò la maggior parte della giornata. Tento di andare all’Internet cafe, ma salta al luce e rinuncio. Ritorno al bar e riprendo il mio libro, incurante delle decine di occhi che mi scrutano e trovano decisamente buffa una “mzungu” che saluta in Borana e parla il kiswahili e legge in inglese e parla al telefono in italiano!
Dopo poco, una fragorosa risata e una mano sulla spalla mi fanno alzare gli occhi dalla mia pagina già iniziata una decina di volte: è Silvia Shanu, una signora di Marsabit, sorella del mio vicino di casa Hillary e membro del mio stesso gruppo del Vangelo in parrocchia… Non potevo essere più fortunata: mangiamo merenda insieme e chiacchieriamo fino all’ora della partenza…
E’ la prima volta che viaggio da Isiolo a Marsabit in pullman e quello che vedo salita sopra non mi incoraggia molto: imbarchiamo certo più bagagli, scatole, pacchi, sacchi che persone. Il tutto sopra il tetto del pullman e nel corridoio centrale. Mi siedo e non riesco più a muovermi, ma ringrazio i miei due vicini di posto che sono uomini semplici e non hanno portato roba con loro: almeno abbiamo il posto per mettere le gambe! I bimbi non hanno un posto assegnato e vengono tenuti in braccio se sono piccoli e sistemati alla bell’e meglio tra due sedili o sopra qualche sacco di mais nel corridoio. Partiamo con un’ora di ritardo, perche’ l’autista si accorge che non c’e’ olio nel motore. E poi acqua nel radiatore. E poi benzina nel serbatoio. Mi sembra che la gente, abituata a viaggiare sui camion, seduti sulle barre di ferro del tendone, non facciamo molta differenza con il pullman: lo stile di viaggio è simile, lo spirito idem… Dopo le prime fermate, ancora sulla nuova strada asfaltata, il pullman si svuota un poco e diventa più vivibile e… dormibile. Procediamo bene e dall’autista riesco anche a farmi lasciare proprio di fronte a casa, cosa non malvagia dato che sono le 3.30 di notte!
E così, rieccomi qui, nella mia polverosa casetta, ora vuota dopo le tante settimane di ospiti, di luglio e agosto. L’indomani mi aspetta un incontro in parrocchia in tarda mattinata (su una questione di giustizia!) e nel pomeriggio incontro con i maestri del Memorial, in preparazione al primo giorno di scuola, mercoledì 1 settembre. E una montagna di vestiti da lavare, rigorosamente a mano!
E allora bentornata alla vita quotidiana!

venerdì 27 agosto 2010

Vacanze in Nyanza province


Con sole quattro ore di matatu da Nairobi sono entrata in un mondo che sapevo che esisteva, ma che non pensavo mi toccasse così in profondità’ fin dal primo momento: il paradiso verde di Nyanza province, nella parte ovest del Kenya, vicino al Lago Vittoria. Paradiso che niente ha a che fare con la confusione e l’affollamento di gente, suoni, rumori che mi hanno accolto in Kisii town ieri, appena arrivata alla stazione dei matatu (pulmini).

Aspetto Richard, lo studente che ho conosciuto a giugno a Marsabit durante l’esperienza missionaria della Kenyatta University di Nairobi, che ogni anno invia qualche giovane volenteroso a condividere la propria fede con i nostri giovani. Anche se conosco meglio suo fratello Moses che non Richard: laico missionario che ha lavorato a Marsabit nel 2000-2004, nella scuola Memorial in cui presto servizio io ora. Ora Moses è preside di una scuola primaria a Hola, vicino a Garissa, sempre come laico missionario e quindi non ci incontreremo!

Appena scesa dal matatu, come benvenuto, ricevo una proposta di matrimonio da un mezzo ubriaco che, in mezzo a quella folla, dice che stava cercando proprio me (manco fosse difficile trovarmi là in mezzo: spiccavo come una macchia di caffè su una camicia bianca!). E questa attenzione della gente non si attenuerà nei giorni seguenti e mi farà sentire sempre “ospite”, anche se parlo kiswahili e ci capiamo…

Per fortuna Richard arriva subito e con il suo amico Adalbert andiamo a prenderci una coca. Appena capisco che per arrivare a casa di Richard dobbiamo prendere un altro matatu, mi accorgo di non sapere niente su ciò che mi aspetta nei prossimi giorni: pensavo infatti che abitasse “vicino” alla città, ossia “non lontano”, come mi aveva scritto nella mail prima di partire. E mentre un sorriso mi spunta sulle labbra, ho la consapevolezza che il suo “non lontano” da buon africano poco ci azzecca con il mio “vicino” europeo. E mi preparo ad affrontare un altro viaggio, completamente affidata a chi mi conduce.

Viaggio simpatico su un pulmino da dodici che ospita più di venti persone esclusi bambini e bagaglio (perche è giorno di mercato!) e… per fortuna, noi siamo seduti di fianco all’autista con il nostro spazio assicurato. Una ventina di minuti sull’asfalto. Poi cambiamo mezzo. Saliamo su una Peugeot familiare e in pochi minuti sul sedile di dietro siamo in cinque, e davanti l’autista ne fa accomodare due sul sedile passeggero e un altro praticamente sotto di lui. Non soddisfatto tre signore salgono ginnicamente nel cofano. Un altro quarto d’ora, questa volta su sterrato. Sono già imbambolata a guardare fuori, a immergermi nei bananeti, nel verde brillante del the’ e della canna da zucchero e dei cortili delle case ben curati, quando giungiamo in un villaggetto. E si sono fatte le quattro di pomeriggio: inizio a sentire fame perché con la frugale colazione del mattino a Nairobi alle 6.30, il mio stomaco è vuoto. Non sa che dovrà ancora aspettare 4-5 ore prima di poter festeggiare con un po’ di polenta e sukumawiki e brodo di pollo.

Scendiamo ed andiamo a salutare il papà di Richard che gestisce alcune camere in affitto e per questo non vive con la famiglia a casa. Mi da’ il benvenuto e aggiunge che guardandomi bene, non sono poi così diversa da lui: due occhi, un cuore, una bocca. Solo il colore della pelle è diverso, ben poca cosa rispetto a quello che ci unisce. Mi colpisce immensamente la sua voce calma, il suo buon kiswahili (è un maestro in pensione), la sua pace interiore, la sua estrema semplicità e il suo darsi da fare i suoi 11 figli, la maggior parte dei quali ancora a scuola (e gli altri tutti “studiati” fino all’università’!!!). Mi dice che la casa è un po’ lontanina, otto km a piedi. Oh, che gioia!!!

Ma intanto ecco che arriva Kim, un amico, prende il mio zaino con tutta la mia roba e mi dice di non preoccuparmi. E chi si preoccupa più ormai!

Lasciando da parte fame e stanchezza, l’africana che è in me prende il sopravvento: saluto sorridente chi incontriamo con le spalle leggere e gli occhi inebriati da queste dolci colline cosparse di case, capanne con il tetto di paglia e campi ben curati. E così i Km per casa si rivelano non troppo lunghi, di certo non otto!

E quello che mi attende è un ambiente semplicissimo, ma tipo svizzero: mucche da latte nel recinto di legno e tre casette curate con un bel giardino di fiori, alberi da frutto e prato quasi all’inglese e… niente immondizia in giro! La casa non ha acqua corrente, il bagno e neanche la luce elettrica. I fratelli più piccoli di Richard studiano a lume di una lampada a pannelli solari. Le stanze sono divise da un semplice muro che non arriva fino al soffitto (che non c’e’!)… ma l’atmosfera e la famiglia sono così accoglienti (e non invadenti!) che mi diverto a lavarmi nella bacinella, a usare la latrina tra gli alberi e a dormire accompagnata dai suoni della natura e del vagito del bebè Junior, figlio di Stella, sorella di Richard.

lunedì 23 agosto 2010

Un soffio... di tempo

Quanti volti, sorrisi, storie, problemi da risolvere, viaggi, persone... si sono accavallati e susseguiti in questi ultimi mesi, quasi come se la mia vita avesse ripreso i ritmi veloci degli occidentali!
E in effetti e' stato un problema anche il trovare il tempo e la fermezza di mente per mettersi seduti a questo computer (e soprattutto avere un computer con la connessione internet!!!) e continuare la condivisione delle giornate africane su questo blog.
Ma questo non significa che qualcuno non possa farlo per me... Eh si', perche' anche se non ho condiviso per iscritto in questi due ultimi mesi, la condivisione si e' fatta decisamente... piu' viva... anzi DAL VIVO... con Francesco, Selene, Elena, Roberta e Giorgia e poi con Alby e Silvia...
E poi con una breve ma briosa e festaiola parentesi italiana per il matrimonio dei nostri Stefy e Mauro...
Le cose da raccontare sono troppe e io sono ancora troppo sballottata da questo andare e venire e poi stanca dal viaggio di oggi, tra buche, salti, polvere e poco... asfalto. E poi c'e' da programmare i prossimi giorni, con una visita alla provincia occidentale del Kenya, Kisii, e l'incontro con i laici missionari di Marsabit.
Allora lascio la parola a chi questa esperienza l'ha vissuta per la prima volta, come i nostri giovani di Alba e dintorni, perche'... tanti occhi vedono meglio di due. Coraggio, scriveteci qualcosa su cio' che ha attraversato la vostra vita e il vostro cuore in questo soggiorno kenyota: saremo felici di leggervi e di risposarci all'ombra delle vostre osservazioni e domande, con un sorriso...

venerdì 18 giugno 2010

Cuore di bambino

Quanti chilometri macinati con piedi e ruote di bici in queste ultime settimane... Come lo scorso anno, ospitiamo un gruppo di giovani universitari della Kenyatta University di Nairobi che, sponsorizzati dalla loro parrocchia universitaria, stanno facendo un’esperienza missionaria in questa parte del Kenya che pochi di loro conoscono. Leader del gruppo il nostro James, con cui dallo scorso anno stiamo coltivando un bel fiore. E lo posso senza dubbio annoverare tra le più belle (nel senso di interessanti e profonde, piene di Bellezza insomma!) persone che ho conosciuto fino ad ora nella mia vita. Ero con lui stamattina, mentre mi accompagnava a scuola, quando abbiamo incontrato il preside della SKM - scuola primaria di fronte a casa mia. “La volevo chiamare, sister, perché abbiamo dei problemi con Adano” (il ragazzo dal braccio rotto, che ora funziona abbastanza bene, anche se non riesce a distenderlo perfettamente!). Il mio ragazzino di terza ne ha combinate un po’ delle sue: disubbidisce al maestro e al preside, scappa dal cortile della scuola, non si presenta all’assemblea della scuola e ha speso i 20 scellini che gli avevo dato per “pagare” gli esami di metà trimestre per comprarsi una penna e due dolcetti… E non ascolta neppure il responsabile del collegio della scuola e picchia gli altri (e soprattutto – da quanto ho capito - si difende dai più grandi che fanno un po’ i bulli!). E in una scuola pubblica di mille bambini da prima elementare a terza media, capisco che il preside e i maestri non possono seguire i singoli casi. “Se continua così, lo devo mandare via dal collegio. Ha bisogno di qualcuno che lo segua da vicino, una famiglia, una persona… Lo potrebbe fare lei, sister, lo potrebbe prendere a casa con lei”. Sorrido. Mi scopro mamma in un attimo, senza nemmeno aspettare nove mesi. Guardo James: “E’ bello imparare ad essere madre prima di diventarlo per… natura”, mi dice. E io penso ai ritmi della mia vita, che poco hanno a che vedere con quelli di una vera mamma che si prende cura di qualcuno: a volte parto alle 6.30 di mattina e dopo mille giri ritorno a casa alle 7 di sera, magari accontentandomi di una tazza di latte per cena o di un frutto o di qualcosa di semplice. E poi ci sono volte che devo andare in altre parrocchie per 2-4 giorni… Pensa un po’ con un bambino da educare. Senza un’altra persona che mi possa dare una mano, con cui condividere le gioie e le fatiche del crescere… James legge nei miei occhi un “Più facile a dirsi che a farsi”, mi dice che c’e’ una soluzione a tutto e che sarò brava a trovarla anche per questo caso e lascia cadere l’argomento.
Ritornata da scuola più presto del solito, decido di passare dall’ufficio del preside per parlare con lui e con Adano e vedere il da farsi. Tra l’altro io non sono neanche l’ufficiale incaricata: lo è il parroco di Maikona, villaggio originario di Adano dove vive ancora un fratello e la nonna e ne fa le veci GB, laica missionaria rumena.
Ora… cerco di districarmi tra quegli edifici un po’ cadenti e… quasi scaduti, che chiamano scuola. Trovo il preside. Fa chiamare Adano, ma lui non c’è. E’ scappato di nuovo. Mi preoccupo: chissà dove e’ andato! Speriamo che non si metta nei guai. Il suo cuore e’ buono, semplice, così puro e innocente che a volte mi sconvolge e mi fa paura per come potrebbe essere facilmente usato da persone brutte.
Faccio per ritornare a casa e lo incontro vicino al cancello con un muso che tocca terra. Avevo promesso a me stessa che uno scappellotto non gli sarebbe mancato. Inizio dura, non lo chiamo neanche per nome: “Vieni qui subito, ragazzo”. Si avvicina con la coda tra le gambe. Andiamo in casa, un po’ di succo e un biscotto per sciogliere la tensione. Ha paura di me, non mi guarda. E sa che ha sbagliato. Prova a raccontarmi che il preside l’ha schiaffeggiato sulla faccia e l’ha pure battuto ieri. Gli chiedo se gli piace stare qui a Marsabit. Si, mi risponde. Non vuole ritornare dalla nonna a Maikona (dove mangiava un giorno sì e due no!). Ma cos’e’ che vuoi, Adano? “Nataka kusoma”: voglio studiare, non voglio essere “chocora”, spazzatura, ragazzo di strada.
Cerco di spiegargli, sottovoce, che per stare in collegio e a scuola, per studiare, deve seguire delle regole. Non può andarsene fuori quando vuole e litigare con tutti. E poi… rubare, cioè usare i soldi dell’esame per comprare qualcos’altro… “Io vedo che sei un bambino buono. Lo vedo dai tuoi occhi”. Non mi guarda. Mi dice che vuole chiedere scusa al preside. Si rilassa un po’, rosicchia tutti i biscotti che gli ho messo davanti. “Ti manca la tua mamma?”, lui schiocca la lingua per dire sì. E’ morta di Aids alcuni anni fa. E’ cresciuto con la nonna praticamente. Suo fratellino e’ ospite delle suore di Madre Teresa: anche lui, come la mamma, malato di quella brutta malattia.
Ho il cuore a pezzi. Lo sento così fragile e io mi sento così impotente. Percepisco il suo desiderio infuocato di stare con la mamma, con una persona che lo ama, ma lei non c’e’ più. E lui non può farci niente, se non accettare. Ma questo non vuol dire che il desiderio si spenga. Continua a bruciare nel cuore. Conosco bene questo stato d’animo. E’ il mio quasi ogni giorno. I miei occhi sono pieni di lacrime.
Ci alziamo e andiamo dal preside, che premuroso e attento (strano ma vero!), fa parlare Adano e gli fa dire dove secondo lui ha sbagliato e perché. Gli chiede dov’e’ la sua mamma. “E’ morta”. “E il tuo papà dov’e’?”. “Non lo so”. Ora sono i suoi occhi a riempirsi di lacrime: sa di essere SOLO. “E chi e’ che ti ha portato qui a Marsabit?”. “Sister Gilberta”, sussurra. Lei e’ il suo idolo. Tutti i giorni mi chiede di lei. “E’ della tua tribù? E’ una tua parente?”, chiede l’headmaster che sa bene dove vuole andare a parare. Ovviamente no! Gilberta e’ rumena! “Ma perché allora ti aiuta?”. Spontaneo e innocente: “Sijui”, “Io non so!”… Guardo il preside e ci scappa un sorriso. Beata innocenza! “E’ perché ti vuole bene. Così anche sister Patrizia. Perché non vogliono che diventi spazzatura, vogliono il futuro più bello per te”. Tutti e tre decidiamo insieme che ora l’atteggiamento di Adano deve cambiare, se no va dritto a Maikona. Ripetiamo insieme le regole da rispettare. E intanto dal mio cuore cresce quel sentimento appiccicoso e doloroso di pietà, quello che nasce dopo che una persona ti ha fatto camminare per un po’ nelle sue scarpe, nella sua vita. E non posso che immaginare quali siano le ferite che questo piccolo cuore deve caricarsi. Impotenza e solitudine. Se avessi un marito… magari potremmo… Se fossi qui con qualcuno dei miei Amici, quelli con cui mi sento libera di condividere tutto… Se solo potessi…
Sento tutto il peso del mio essere qui come missionaria in mezzo alla gente. E di esserci con tutta me stessa. Percepisco quanto sia importante sapere per chi si e’ “angeli”, per potersi prendere le proprie responsabilità. Guardo la croce al collo del bimbo. Come si assomigliano il suo e il cuore di Gesù, quello che, pur con le mie scarse abilità artistiche, ho disegnato domenica scorsa su un cartellone per la festa della parrocchia di Moyale, dedicata al Sacro Cuore di Gesù! Spine, acque e sangue, profonde ferite.
Il cuore dell’uomo è davvero così simile al cuore di Dio?!

lunedì 24 maggio 2010

Ritorno...

Ho già provato diverse volte a mettermi seduta a questo computer per cercare di fare il punto della situazione degli ultimi due mesi... ma, pur consapevole della bellezza delle amicizie re-incontrate e fatte nuove e degli incontri con i gruppi e le parrocchie, quel tempo italiano mi sembra già così lontano… Ed è solo una settimana che sono arrivata in Kenya. Mi accorgo però come le mie relazioni qui hanno preso una piega e uno spessore notevole, che prima della mia partenza per le vacanze non notavo. E io sono carica di energie, di idee… sempre proposte con il grande rispetto per l’altro, ma sicura (ora) di essere dentro… di essere accettata come “quasi” una di loro, con le mie competenze e difficoltà, soprattutto nella scuola. Al Memorial, da questo trimestre, sono arrivate due nuove insegnanti, finalmente donne, così che Fridah ed io non siamo più da sole… E già si sente il clima più leggero: si sa che i nostri uomini sono spinti a darsi da fare e a lavorare meglio quando c’e’ competizione femminile… e così è… E ridiamo un sacco, si sente il gruppo, la famigliarità e poi la presenza dei bambini… A tavola si fanno discorsi seri, sul ruolo delle donne, sul perché sposarsi, sul come vivere la coppia (e quasi tutti sono sfiduciati in questo, sempre buttando la responsabilità al sesso opposto!), sulla fedeltà, sul cosa centra la fede con la nostra vita, sul cosa aspettarsi dopo la vita temporale… ma anche sull’impiccio (per gli insegnanti maschi) di dover lavarsi da soli i vestiti (solo uno infatti è sposato, gli altri abitano da soli) e sul fatto che chiamare una donna per fare questo lavoro costa troppo… ecc, ecc!

Al mio ritorno qui, è stato bello per me constatare che tanti amici lo hanno visto come una prova di fedeltà a questa terra e alla sua gente… E allora si aprono, parlano, chiacchierano, mi raccontano i loro problemi (quelli che si possono raccontare!), mi aggiornano su decisioni e cambiamenti… e a volte mi fanno partecipi pure dei loro “spetteguless”, attività qui (solo qui?!?) molto in uso e a volte veramente distruttiva!!!

Se è stato bello ritornare dopo “il bagno di folla” albese… vedo però anche le spine che mi rattristano, come la partenza di Sobale e di Watu, le due ragazzine figlie dei miei vicini di casa che studiavano nella nostra scuola e che frequentavano la mia casa e la mia vita… Trasferimento in un’altra scuola, con collegio, a 4 ore da qui, nel bel mezzo del deserto, perché la mamma non ce la fa a prendersi cura di loro. A casa sono rimasti solo i due bimbi più piccoli, Flora e Umulat, che ora sono qui da me quasi perennemente, dato che a casa senza le sorelline più grandi non c’e’ più un granché da fare! E a loro si unisce anche Betty… Nel poco tempo libero, loro sono con me… Cerco sempre di non far pesare alla mamma che loro vengono volentieri da me e io sto volentieri con loro, perché d’altronde non sono figli miei. Anche se ogni giorno mi scopro che sono sempre più mamma, anche se non ho ancora portato il peso di una creatura nel mio grembo.

Mi sento a mio agio. Non ho paura di parlare con la gente, di fare, di essere, di dare, di giocarmi… Non ho niente da perdere e quindi do tutto. O almeno cerco, o mi sento spinta a farlo…

E mi danno sempre più fastidio le persone indecise, che si perdono dietro mille seghe mentali per non arrivare mai a niente. Che han paura di prendere una decisione perché poi si chiudono tante porte… e quindi possibilità. E così vivono nel niente aspettando tutto e scegliendo di non scegliere. Come se avessero un tempo infinito davanti. Come se la nostra intelligenza e i nostri bei doni fossero lì per essere messi in un cassetto e non usati. E’ più forte di me, non le sopporto quasi più, queste persone. Forse è anche per questo che mi accorgo ho lasciato perdere alcune amicizie, anche ad Alba. Perdo proprio la pazienza! E da una parte questo mi porta ad ammirare il modo di fare dei ragazzi di qui che, dopo due volte che ti vedono (beh, non tutti, eh!!!) ti chiedono di sposarli perché, dicono: “I love you, my dear!”… Affrettati sì, ma sorridenti e senza paura di investire la loro vita. Questo non vuole dire che io dico di sì. Ma mi fan sorridere e mi fa bene al cuore sentire la vita che scorre e che cercano di non lasciarsi sfuggire. Con una libertà eccezionale. E pure incoscienza.

E così andiamo avanti, con l’Africa dentro. E fuori!