venerdì 28 settembre 2012

La casa dov'e'?


Trasformare questo blog in un deserto non era l’idea che lo ha fatto nascere. Sarà la nostra prima vacanza italiana da sposi e il nostro ri-matrimonio, sarà che qui il lavoro non manca e stiamo più fuori che in casa, sarà che succedono così tante cose interessanti da scrivere che per non fare torto a nessuna non ne scelgo neppure una, sarà che per scrivere serve il pensiero e l’ispirazione… Comunque approfitto per primo giorno libero da quando siamo tornati a Marsabit, perché oggi gli insegnanti della nostra scuola sono andati… in gita sul confine etiope. Anche se un po’ mi dispiaceva, ho gentilmente rifiutato, soprattutto pensando ai 300 km di strada sterrata (la stanno asfaltando pero’, da dicembre 50 km dovrebbero essere gia’ percorribili!!!) fino a Moyale e alla tranquillità che per un giorno mi sarei potuta godere (lavorando in casa, s’intende!)…

E così eccomi qui, tra bella lavanderina e donna delle pulizie… mentre Mike è al dispensario di Dirib Gombo, come tutti i giorni. C’è da pensare in questi giorni, c’è da decidere cose, c’è da ricavare buon tempo, c’è da coltivare relazioni, c’è da continuare ad apprezzare e a combattere stereotipi di pelle chiara. Tuttavia, sono arrivata carica da Monforte: è stato un semplice salto (che ci vuole a salire su un aereo, a viaggiare una decina di ore con la persona che ami per raggiungere altre persone che ami?!?) che ci ha immersi in un mondo concreto, vivo, un po’ in crisi (quella economica, no, noi che arriviamo dall’Afrika non l’abbiamo vista, perché siamo troppo mal abituati!), ma di affetti, di amicizie, di tranquillità, di viaggi, di accoglienza inaspettata in quella che per Mike è la sua nuova famiglia. Un mondo ovattato, che sa bene che non saremo suoi frequentatori assidui (qualche volta dico purtroppo!) e che ci tratta con i guanti e ci fa sentire ospiti anche in casa propria. Ma in fondo, nei lunghi viaggi transafricani, mi chiedo se è proprio necessario avere una casa: non quella di mattoni (quella è necessaria!), ma quella esistenziale, quella che in inglese chiamano “home”… e se invece non se ne possono avere due o più di due. Lo penso in riferimento a me, a noi, alla nostra futura casa (dove?) ma anche ai nostri futuri bambini, se verranno: bi o trilingui, con passaporto italiano e kenyota, mix di colori, mix di capelli e di tradizioni familiari… impareranno a chiamare “zia” una persona che non è mia sorella di sangue e “amici” persone con tradizioni diverse dalle loro, con tanto diverso, che non sono state presenti nell’infanzia dei suoi genitori, cioè noi! Se don Dodo nella sua omelia del 25 agosto, ci ha detto che ammira questa capacità di sentirci liberi e tutti i posti potrebbero essere la nostra “casa”, mi chiedo fino a che punto dovremo limitare questa libertà per il bene dei figli. O della famiglia. O forse dovremo solo insegnare loro con l’esempio che la famiglia più solida di tutte è quella creata intorno all’altare, è quella della Chiesa (anche istituzione, perché no!), è quella di essere accolto ovunque perché di Cristo e accogliere chiunque perché di Cristo. In fondo è per questo se posso chiamare Marsabit casa mia: non solo per le persone che ci vivono o per quelle amiche, ma per la presenza della casa di Dio tra di noi. Chissà che non impareremo a chiamare “casa” anche altri posti, oltre a questi!
Intanto, oltre allo stupore di vedere come le vite cambiano, si evolvono e così i loro protagonisti e i bambini crescono o nascono (benvenuto Nicolò, noi invece non ci siamo ancora conosciuti di persona!), ci siamo portati in bagaglio dall’Italia una nuova consapevolezza, che sapevamo solo a memoria prima: quella di essere coppia di laici missionari. Ci piace questo. Una famiglia missionaria. Se qui cerchiamo di vivere semplici e di non attirare troppo l’attenzione, ma solo per esserci e condividere, non dobbiamo dimenticarci (e grazie ai mille amici che ce lo hanno ricordato con l’esempio, con la loro considerazione, con il loro guardarci) che siamo qui a Marsabit per una missione. Siamo una famiglia come tutte le altre, ma non siamo come tutte le altre. Perché siamo stati mandati ed accolti e siamo chiamati ad essere pietre vive, non ad uniformarci con la cultura del posto o con il loro senso religioso, a costo di restare un po’ da soli, o non completamente integrati in questa società. “Nel mondo ma non del mondo” (ma a volte fa male!).
Se escludiamo le manovre politiche e i loro fautori, rimane ben poco di cui discutere in Kenya. Le prime tre settimane di settembre, ci ha accolto un tremendo sciopero degli insegnanti della primaria, secondaria e per qualche giorno anche dell’università (escluse scuole private, come la nostra “Fr. John Memorial” e quelle secondarie diocesano “Cavallera girls” e “St. Paul”). Scopo: vedersi aumentato lo stipendio che prima sfiorava i 130 euro al mese per un maestro elementare. Il Governo li ha messi a ferro e fuoco e con un’arroganza incredibile non ha partecipato ai patteggiamenti (i maestri sono partiti con una richiesta di aumento del 300% perché era dal 1987 che non venivano dati aumenti – se non per adattamento anti-inflazione -  e non veniva rispettato il patto sottoscritto). Gli studenti hanno continuato a giocare per strada o ad aiutare in casa, a soli due mesi dall’esame di stato per la terza media e la quarta superiore. Ora che hanno ottenuto un aumento di 3,000 Kshs, cioè 30 euro per mese, gli insegnanti sono ritornati in classe, cercando di recuperare il tempo perduto. Come se tutto ciò non bastasse, il ministro dell’educazione (la cui carriera professionale niente ha a che vedere con l’educazione: è infatti un avvocato!) ha deciso di sposare in avanti tutto di un mese: così invece di avere gli esami il 5 novembre, saranno ai primi di dicembre; invece di fare vacanza novembre e dicembre ed iniziare il nuovo anno scolastico ai primi di gennaio 2013 ora faremo vacanza dicembre e gennaio e riapriremo le scuole a febbraio… Di conseguenza anche i prossimi trimestri saranno tutti sballati e chi, degli insegnanti – e sono tantissimi-, studiava all’università non potrà dare esami, né attendere le lezioni come generalmente faceva durante le vacanze di aprile, agosto e novembre-dicembre.
Mi viene proprio da cantare, in senso letterale, … “una mattina mi son svegliato, o bella ciao, bella ciao...”!! Vedremo come andrà a finire… Educazione? Ultima ruota del carro kenyota…
Una bella notizia da Marsabit, adesso: sabato scorso 23 settembre, memoria di mons. Cavallera, James Wario, un seminarista di North Horr, è stato ordinato diacono, dopo cinque anni dall’ultimo sacerdote diocesano! E’ anche l’unico Gabra ad essere nel clero diocesano di Marsabit! Tanti auguri, Wario: hai una grande sfida davanti a te, riuscire a mantenerti fedele a quel Dio che ci ha creati e continuamente ci crea, in questa cultura che ti spinge altrove e ti propone l’opposto. Ti siamo vicini!