sabato 20 marzo 2010

Quando il deserto fiorisce...




Kallacha e North Horr - marzo 2010

giovedì 18 marzo 2010

Con un braccio al collo...

E' la storia di Adano che mi giro per il cuore in questi giorni.
9 anni bagnati, su per giu'... e due occhi neri e allegri che si aprono su un viso sereno e di un nero veramente africano! Arrivato a Marsabit poco piu' di un mese fa da Maikona, dove viveva con la nonna... e dove... ne combinava di tutti i colori, anche a scuola! Senza genitori e con la nonna anziana, che la maggior parte del tempo era fuori con gli animali, capre e cammelli, Adano era piuttosto abbandonato a se stesso. Gilberta, una missionaria laica rumena che presta il suo servizio a Maikona, si e' accorta di lui e, parlando con i maestri e il parroco, ha deciso di portarlo a Marsabit in colleggio...
Fatto sta che una domenica me li vedo arrivare a casa mia: offro loro un chai e biscotti. Non riesco a scambiare una parola con Adano: e' andato a scuola gia' 4 anni, fino in quarta, ma parla pochissimo kiswahili...
Tra le tante cose da fare e organizzare, quel visetto mi passa di mente... ma ci ritorna quando Gilberta due settimane fa si ferma a casa mia per tre giorni per riposarsi un po' dal vento del deserto e... scopriamo che il temperamento del "nostro bimbo del deserto" non e' cambiato di molto. Marachelle a Maikona, marachelle a Marsabit. Salito un albero come fanno il 90 per cento dei bimbi africani... e' caduto e si e' rotto un braccio.
Il giovanotto che si occupa del collegio pensa bene di portare Adano dal... cuoco della scuola, che ha fama di essere un dotato specialista "tradizionale". Insomma, lo benda e gli vieta di bere acqua e di mangiaro cibo con olio. E il braccio gonfia incredibilmente in poche ore. Quando Gilberta va a trovarlo lo trova in condizioni pessime. Lo prende e lo porta all'ospedale di Marsabit (che pur non essendo troppo attrezzato, ha alcuni servizi decenti), non dopo essersi arrabbiata!
Il braccio e' troppo gonfio, non lo possono ingessare. "Prendi gli antibiotici per una settimana e poi ritorna!". Detto fatto. Gilberta ritorna a Maikona dopo alcuni giorni e lascia a me il compito di accompagnare Adano all'ospedale il lunedi' successivo.
Dopo una giornata piena a scuola con i bimbi di seconda, giornate di quelle che non si dimenticano, corro in parrocchia con la bicicletta (che intanto e' stata inaugurata oltre che comprata!!!) e mi faccio imprestare la macchina dal parroco. Vado al collegio e dopo non poche peripezie, tra mille e un studenti, riesco a rintracciare Adano. Con Guyo, il suo amico che fa prima media, anche lui di Maikona, ci avviamo all'ospedale. Le cose precipitano appena entrati nell'ambulatorio: il dottore prepara alcune siringhe e Adano inizia a strillare! E' cosi' nervoso e agitato che non riusciamo a trovargli una vena per l'antidolorifico. Guyo ed io facciamo del nostro meglio per tenerlo fermo e rassicurarlo (ora parla abbastanza bene il kiswahili!), ma invano. E poi la parte piu' brutta: il dottore cerca di mettergli a posto la frattura, con una delicatezza da macellaio, dopo aver imbrattato pavimento e lettino (e maglie) di sangue e disinfettante. Infine con piu' gesso addosso a noi che sul braccio di Adano usciamo dall'amb ulatorio, tutti stremati: Adano per il troppo piangere e urlare, io e Guyo per le forze impiegate per tenerlo fermo. Vedo a comprare un po' di latte per tutti e poi andiamo a fare i raggi al braccio per vedere se la frattura e' a posto. E... bella notizia: no, non ci siamo, dobbiamo ritogliere il gesso, l'osso non e' nel posto giusto! Bene, ricominciamo da capo! Il dottore con mani e piedi risistema la frattura e rimette il gesso. Adano continua ad urlare e piangere anche dopo che abbiamo finito. Dinuovo ai raggi. Ora e' tutto a posto. Lasciamo l'ospedale alle 7 di sera, dopo tre ore di... duro lavoro!
Adano e' stanchissimo, si addormenta in macchina. Passo da casa per prendere biscotti, latte e un bottiglietta di coca cola che, per pura fortuna, avevo comprato quello stesso pomeriggio!
Entriamo in quello che e' chiamato collegio gia' in ritardo per la cena... Cerco di chiedere al "famoso" cuoco se e' rimasto qualcosa da mangiare per i due ritardatari: lo trovo nella fumogena cucina, che di cucina non ha proprio niente se non... il fuoco acceso sotto la pentola. Sta misurando il mais con un pentolino, mi fa segno di andare via, che lui non parla kiswahili. Gli altri ragazzi che dormono li', una ventina, sono chiusi nella stanza adiacente: alcuni battono sulle finestre, altri sono in piedi sulle panche e sui tavoli... Insomma, un gran casino...
Lascio Adano, il suo braccio dolorante ma ingessato, la sua faccia stanca ma decisamente rilassata e i suoi capelli imbrattati di gesso con un peso nel cuore.
Ritorno il mattino dopo, alle 7: piove, fa freddino e gli alunni sono gia' in classe. Adano e' in maniche corte perche'... l'uniforme della scuola non entra! Corro anche io a scuola e poi nel pomeriggio torno con una mia maglia e altre cosette. Lo trovo di nuovo sereno come l'ho visto il primo giorno. Mi scruta con i suoi occhi neri. Forse e' arrabbiato con me, perche' mi sono fatta complice di quell'insana operazione del giorno prima, ma comunque non lo da' a vedere! Si infila la maglia e mentre vado via, mi saluta con la mano. Corre verso il campo da calcio, pronto per prendere la palla o per... salire su qualche altro albero!

lunedì 1 marzo 2010

Domande a bordo... piscina

Che giorni pazzescamenti strani... pieni di voglia che volino via subito, per lasciare spazio ad altro diverso, tipo rivedere volti amici e familiari in Italia... Che giorni pazzescamenti strani... pieni di voglia che non vadano via mai piu', che rimangano nel mio cuore e che cambino la mia vita. Senza voglia di pensare di nuovo a ricominciare, un'altra volta... senza piu' la forza di capire di nuovo, di conoscere, di dire e di condividere la vita con qualcuno... senza piu' la gioia di sperare che forse ci sara' un'altra occasione. Voglia di vivere questo momento senza pensare al futuro. Sia quel che sia.

E' stato intenso e di compagnia il tempo trascorso con il bel gruppo di Roreto in visita a don Rinino pochi giorni fa. In uno dei pochi momenti di relax (cio' non sulla macchina, su e giu' per le montagne e i deserti della nostra diocesi), sono venute fuori domande interessanti... che hanno rinfrescato la calda sorgente di acqua di Loiyangalani, dove finalmente dopo ore di sole cocente a Kargi, abbiamo potuto ristorare le nostre forze. "Perche' mi sento piu' a casa qui, che non quando sono a casa?"...
E perche' io mi sento e mi sono sempre sentita piu' a casa a Marsabit, o in Kenya in generale, che non a casa? Eppure amo la mia casa, le mie radici piemontesi e anzi ho imparato ad apprezzarle ancora di piu' da quando sono qui. Ma pur essendo qui SOLA, e questo mi pesa tanto e mi e' sempre pesato un sacco e toglie il senso piu' bello a questa vita missionaria,mi sento profondamente LIBERA, qui. E probabilmente questo lo sentiro' anche quando tra poco meno di un mese atterrero' a Monforte, probabilmente perche' e' il cuore che cambia e che impara e sta imparando a sentirsi a casa ovunque.
Poi come condividevo con le amiche di Roreto, ci sono anche altre ragioni: qui noi "bianchi" siamo diversi e non appartenendo a questa terra, sentiamo pochissimo la pressione sociale (che invece per me in Italia era diventata quasi insopportabile!) e poi siamo considerati un po' speciali e quindi un po' al centro dell'attenzione (anche se questo non e' sempre piacevole, pero' in certi casi aiuta a sentirsi accolti!)... E poi, cos'altro... forse la sensazione di aver dato alla vita un indirizzo speciale, che era proprio quello che volevo e quello che desidererei condividere con un'altra persona per formare una famiglia cristiana e missionaria... E anche il non avere piu' a che fare con i normali tipi di "stress" che tanto assillano le nostre case europee, dalla tv, alla fretta, alla societa' individualista, allo smog e al traffico in strada, alla pubblicita' martellante, alle attese che gli altri hanno su di noi...
Ma penso che specialissima sia la presenza qui di "cose" (concedetemi di chiamarle cosi', perche' non ho altri termini piu' adatti in questo momento!) e relazioni che danno profondo senso alla vita: mi accorgo che, quando c'e' fede e fiducia in me, posso cogliere segni preziosi dalle cose normali della vita. E la sensazione di essere nel posto giusto... donando, perche' non ho altro da fare... e perche' non ho niente da perdere.
(PS: la donna nella foto e' Maria Kurreo Dokhe di Kargi, la mia "seconda" mamma, con la nostra nipotina, Asha, figlia di suo figlio Samuel)