sabato 30 ottobre 2010

Ingiustizie

Alcuni giorni dopo la prima pioggia (e non e' che sta piovendo molto, una pioggerella ogni notte) e gia' ci incantiamo a contemplare i fili verdi che quasi all'improvvisoo hanno fatto la loro comparsa nel nostro cortile, noncuranti dell'erba secca e della plastica che la fan ancora da padroni. E questo verde brillante e' davvero relax per gli occhi, stanchi di polvere e di... ingiustizie.
E si', perche' ogni giorno, negli ultimi tempi, sembra venire fuori qualcosa che mi riguarda e mi tocca e che richiede un intervento chiaro e giusto, a favore dei piu' poveri dei poveri e della coerenza e limpidezza con chi ci aiuta.
Cerco sempre di non agire sotto impulso della rabbia, che in questi casi non puo' che essere presente (e per fortuna che lo e'!)... ma alcune cose mi battono talmente sui nervi che vorrei ribaltare il mondo al contrario! Come quando scopro che nella cucina della nostra scuola, per il pranzo dei nostri ragazzi, usiamo cibo che arriva dal "relieve food", ossia il cibo che il governo manda GRATIS a tutte le comunita' in caso di siccita'. E dico tra me e me:"Finalmente, il preside si e' deciso a fare domanda all'ufficio governativo per avere un po' di cibo, dato che lo danno anche alle scuole!". Peccato che scopro, parlando con il cuoco e con father Fred, che no, il cibo non ci e' arrivato gratis come avrebbe dovuto, anzi il padre incaricato della scuola l'ha comprato da un altro prete che l'ha comprato o ricevuto gratis dal Governo!!!
E cosi' ci stiamo mangiando il riso che era destinato alle famiglie che ne avevano bisogno... e in piu' l'abbiamo illegalmente comprato e pagato!!! Che tristezza!
Grazie a father Fred, stiamo anche cercando di mettere un po' di ordine in quelli che sono gli sponsor (cioe' i bambini per cui paghiamo le tasse scolastiche) e scopriamo con indignazione, che parecchie delle famiglie sponsorizzate sono famiglie con embrambi i genitori ben impiegati e alcuni di questi bambini hanno anche altri sponsor da ONG che pagano direttamente la famiglia l'importo delle tasse scolastiche e non solo... E uno dei questi e' un nostro catechista! Cosi' per alcuni, doppio sponsor!
Rimaniamo senza parole, ci chiediamo come mai in passato sono stati ammessi casi del genere, chiudendo un occhio o tutti e due gli occhi... e il preside ci dice che e'... per amicizia..., gente vicina alla chiesa, nostri cristiani, per fare loro un favore... E magari sono rimasti fuori dalla nostra scuola o hanno dovuto trasferire i loro figli altrove, famiglie che non potevano veramente pagare e che non avevano nessun aiuto da nessuna parte. E cosi' invece di aiutare proprio le persone in situazioni piu' complicate e difficili e dar loro un barlume di speranza, aiutando i loro figli ad avere una buona educazione e cultura e accesso a ottime scuole secondarie per poi davvero avere la possibilita' di avere un buon lavoro... ecco che noi fino ad adesso abbiamo preferito pagare le tasse a chi i soldi ce li aveva... cosi', per amicizia!
Una cosa e' certa: ora con father Fred le cose cambieranno piano piano perche' c'e' la volonta' di fare giustizia e di agire giustamente... e di visitare a casa tutte le famiglie a cui paghiamo le tasse scolastiche dei figli.
E poi anche il nostro famoso gruppo delle donne... Scopriamo che... non hanno piu' soldi da reinvestire nel loro business, come invece dovrebbe essere... dato che avrebbero dovuto togliere una piccola percentuale da ogni ricavo, per ogni oggetto venduto... E cosi' vengono da me e dalla suora a mendicare di imprestare loro i soldi per andare avanti nel loro lavoro... E in questi ultimi due anni, davvero i giovani di Alba ci hanno aiutato tanto tanto nella vendita dei loro manufatti e i soldi non sono mai mancati e neanche il mercato! E allora, i soldi che avrebbero dovuto essere lasciati in ufficio per il reinvestimento dove sono finiti?
Anche in questo caso, chiarezza sara' fatta, con modi e vie pienamente e umanamente sostenibili, per il bene comune e la serenita' di tutti!

lunedì 18 ottobre 2010

Ricerca...

“Mungu anaweza”, “Dio può, Dio è capace!”: è la voce del pastore della “God’s power Church” (“la Chiesa del potere di Dio” di Ruaraka), che tiene una specie di show sulla tv nazionale kenyota. Non è una cosa inusuale sentire parlare di Dio la domenica qui in Kenya: per radio, per televisione, sui pullman e pulmini in Nairobi, si trasmettono programmi e musica religiosa a tutto volume fin dalle sette del mattino. E poi le varie chiese (o sette, come vogliamo chiamarle?) mettono fuori per strada i loro altoparlanti e iniziano con i loro “alleluia- amen” i sermoni accompagnati da ritornelli cantati e lettura della parola di Dio a tutto spiano. Pastori e predicatori (improvvisati o no) scelgono posti strategici, parchi, incroci stradali, giardini pubblici, per radunare gente con le loro parole e magari le loro preghiere di guarigione.
A parte gli eccessi, che esistono abbondanti, la religiosità del popolo kenyano (o dei popoli kenyani… ma questo è un altro discorso!) permea tutta la loro vita pubblica e privata. E mai sentirete il presidente o qualche altra personalità pubblica concludere un discorso senza citare Dio e senza benedire i presenti.
Dio entra dappertutto, non solo nei pubblici comizi, ma anche nella vita quotidiana: dagli auguri per un bimbo appena nato, alla lettura delle vicissitudini giornaliere (anche quelle dipendenti puramente dalle decisioni e dalle responsabilità umane), dalle parole di incoraggiamento in una situazione difficile al ringraziamento per il bestiame che si possiede…
Dio entra dappertutto, ma troppe volte si vedono scollamenti così grandi tra ciò che si dice e ciò che si decide e si fa’, da mettere i brividi.
Ed è forse per questa ragione, per questa incoerenza di fondo e poi per la ricerca di un senso profondo a certe questioni (la vita, la malattia, la morte, la sofferenza) che le “chiese-funghi” (perché spuntano ad ogni angolo come funghi!) hanno tanti adepti. “We care – God heals” (Noi ci prendiamo cura, ci interessiamo – Dio guarisce) han scritto sullo schermo, mentre il pastore spiega come nel 2005 e anche recentemente due seguaci del suo gruppo che erano HIV positivi, sono stati completamente guariti da Dio, tramite le sue preghiere. Immagini di gente sulla carrozzina che miracolosamente cammina, di bambini disabili che si mettono a parlare o a muoversi… E dietro capisco come quest’uomo intelligente ha capito il bisogno profondo dell’uomo d’oggi (bianco o nero che sia): il sentirsi amato, il cercare risposte credibili alla sua sete di senso esistenziale.
E poi, ovviamente, il buon pastore in giacca e cravatta non si dimentica di indicare come donare soldi (perfino tramite SMS) per permettere alla sua opera di salvezza di proseguire…
Immagini di un salone gremito di gente che applaude e che attenta fissa gli occhi sul pastore che predica. Mi viene in mente la prima moltiplicazione dei pani di Gesù: “Vide molta folla e si commosse per loro, perché erano come pecore senza pastore” (Mc 6, 34). E per lo più, sfruttate da un mondo banale che vive per il dio denaro e non si preoccupa di usare a fini commerciali anche il più alto dei desideri umani: la ricerca di amore e di senso.

venerdì 15 ottobre 2010

Canta il sogno del mondo

Grazie a Elena per la bella dedica. Troppo bella per tenerla solo per me.

"Ama
saluta la gente
dona
perdona
ama ancora e saluta.
Dai la mano
aiuta
comprendi
dimentica
e ricorda
solo il bene.
E del bene degli altri
godi e fai godere.
Godi del nulla che hai
del poco che basta
giorno dopo giorno:
e pure quel poco
- se necessario -
dividi.
e vai,
vai leggero
dietro al vento
e al sole
e canta.
Vai di paese in paese
e saluta
saluta tutti,
il nero, l'olivastro
e perfino il bianco.
Canta il sogno del mondo
che tutti i paesi
si contendano
di averti generato."


(Il grande male, Mondadori)

sabato 9 ottobre 2010

Dal mosto al vino...


Giornate piene di bambini. Anzi ricche di bambini.
Pochi giorni fa è nata Cornelia, la figlia di mio fratello James e sua moglie Mary, che si sono sposati a Kargi a dicembre 2009. E’ voluta venire al mondo quando era ancora troppo piccola e ora dorme nella pancia artificiale che la scalda e la aiuta a crescere. Ma ha due genitori che la chiamano “dono di Dio” e di certo Dio la protegge.
Non così fortunata come i due neonati da poco arrivati dalle suore di Madre Teresa qui a Marsabit. Uno è stato dato alla luce nell’ospedale di Marsabit, ma la mamma, poco sana di mente e non sposata, ha tentato di ucciderlo durante la sua prima notte di vita. I dottori l’han salvato e senza dir niente alla mamma, l’han affidato alle cure delle suore. L’altro, figlio di nessuno, l’han trovato sul bordo della strada non lontano dalla chiesa, infagottato e piangente, con ancora l’ombelico non guarito e una fame da lupi. Una mamma che al mattino presto passava nei pressi si e’ accorta di lui e ha chiamato la polizia. Che lo ha portato alla Hope House, la casa delle suore di Madre Teresa. Sono passata a vederli l’altro ieri, nei loro bei lettini tutti in ordine, infagottati nelle loro copertine e curati dalle signore che lavorano nella casa. Appena nati e già un passato così pesante sulle loro piccole spalle.
Ma d’altronde se andiamo a Nairobi nelle case per i bambini – i cosiddetti orfanotrofi – sentiamo raccontare decine e decine di storie così, mentre giochiamo con i bambini e osserviamo i loro capelli pettinati, i loro occhioni che scrutano il mondo e la loro voglia di vivere.
Come la storia di Adano che ho già raccontato e che e’ passato di qui, da casa, proprio pochi minuti fa dicendomi che domani pomeriggio – domenica – al collegio daranno il pomeriggio libero e lui… non sa cosa fare. E’ qui da solo, non ha nessun parente a Marsabit, molti degli altri alunni andranno a casa dalla mamma. Gli ho detto che io probabilmente non sarò a casa perché ho il gruppo del vangelo, ma lui può venire a giocare con i bimbi del nostro cortile. Flora e Humulat sono stati contenti di sapere che avranno un altro compagno di giochi e so di certo che Adano godrà della loro compagnia.
Oggi pomeriggio sono arrivata in parrocchia prima del solito e ho approfittato per seguire alcuni minuti Rai International. Immagini girate dall’elicottero che volava sulle campagne toscane e umbre, con un filo di nostalgia, mi han riportato per un attimo a casa, a Monforte, dove in questo momento il mosto bolle nelle botti, embrione di quel vino adulto che berremo tra qualche anno. Mi sono tornate alla mente belle immagini e… i profumi, che dopo aver messo la macchina in garage, salendo le scale per la cucina, riempivamo le mie narici i primi giorni di scuola, da alunna e da maestra. Un profumo segno di qualcosa che va formandosi nel buio della cantina, segno di un lavoro che non si ferma mai, di un amore, di una cura che porterà questo succo d’uva ad avere una sua etichetta e ad essere degustato in cene, che sarà sposato con cibi scelti, che porterà quel tocco in più quasi indispensabile ai nostri palati langaroli, segno di un incontro riuscito, di una festa felice, di una compagnia condivisa. Un mosto bambino il cui scopo e’ diventare un vino adulto. E non un adulto qualsiasi, il migliore vino che può essere.
Così come i nostri bambini. Tutti i bambini del mondo. Anche quelli che nascono già segnati in qualche modo. Un seme già sbocciato, che vuole diventare albero. O fiore. O erba. Ma il migliore che gli e’ dato di essere. E che cresce piano piano. Senza fretta. Aiutato da tante mani, alcune sapienti altre meno. E che ha bisogno di avere un serbatoio pieno di amore in sé, anche senza giocattoli, anche senza videogiochi, anche senza menu firmati dal nutrizionista (vorrei che ne venisse uno qui a firmare i nostri menu: polenta, fagioli, riso, cavoli, patate e poi si ricomincia!), anche senza assicurazioni di poter studiare fino al termine delle scuole medie o superiori perché non ci sono i soldi per farlo, anche senza essere lindi tutti i giorni da testa ai piedi.

Adulti in bocciolo che mi disarmano. Come un paio di giorni fa, quando al ritorno dal lavoro stanca e impolverata, volevo fare subito una doccia e poi rilassarmi un po’, ma mi trovo Humulat alla porta di casa appena arrivo. Gli spiego le mie intenzioni e lui mi dice che sta a giocare fuori. Bravo bimbo! Entro nel bagno, mi faccio la doccia e poi esco inviluppata nel mio asciugamano e… mi spavento e faccio un salto indietro: Humulat seduto per terra, nella penombra, vicino alla porta d’ingresso mi guarda serio e mi dice: “Ti voglio aspettare qui”. Gli sorrido: fantastico bambino dalla disarmante semplicità! Ecco la mia “Maria” che seduta ai piedi di Gesù sapeva dove riporre il suo cuore e che qualità dare alle sue relazioni. E come lo scorso lunedì, dopo essere stata il week end a Maikona, mi ero appena svegliata, quando ho sentito bussare alla porta. “Chi e’?”. “Sono io!”… Eccolo qui, il nostro Humulat: “Ma che ci fai già in piedi alle 6.20 di mattina?”. Gli occhietti ancora semichiusi e la faccia gonfia dal sonno, come se fosse saltato giù dal letto un minuto prima: “Sono venuto a salutarti perché ho visto che sei tornata!”.

Tante volte siamo tentati di pensare e di insegnare, soprattutto noi europei, che prima dobbiamo essere buoni, giusti, dobbiamo “crearci la salvezza”, essere perfetti e poi possiamo seguire Gesù. Ma i nostri bimbi ci insegnano in modo diverso; la vita, anche di coppia, ci insegna in modo diverso. E’ il viaggio con Lui e con gli altri che ci salva. Non la condizione di partenza di essere buoni e perfetti. O la convinzione di saper amare o di essere cristiana. E’ invece la missione qui che mi fa di Cristo, non il contrario. Non importa che peso ho caricato sulle spalle. E’ durante il santo viaggio che vengo salvata, che cresco, che imparo ad amare, perché e’ durante questo viaggio che assaporo il suo amore.
Come i bambini…