venerdì 12 aprile 2013

Viaggiare...

Da un mio articolo a proposito di ... trasporti in Kenya:

I trasporti e il modo di viaggiare qui in Kenya sono stati una delle prime difficolta’-bellezze-fonte di avventure che ho incontrato da quando sono arrivata…

Nella capitale Nairobi, la prima cosa che mi sconvolse di piu’ fu… il fumo nero delle macchine, dei camion (in pieno centro!), delle motorette, delle “api”, dei bus e dei minibus… ossia di tutto cio’ che si muove su ruote… insieme poi alle lunghe e interminabili code che ti mangiano ore al giorno (sapendo di respirare quello che respiri!!!). A parte il mettere a rischio la tua vita tutte le volte che tenti di attraversare la strada (su strisce pedonali o no, con o senza semaforo – che tanto nessuno guarda!), quello che mi ha poi affascinato sul modo di viaggiare kenyota e continua ad affascinarmi e’ la sensazione di entrare a far parte di una comunita’ ogni volta che salgo su un bus-pulman-pulmino (quelli a 14 posti si chiamano “matatu”), soprattutto quelli che portano fuori citta’: ognuno si carica il suo pezzo di vita, mamme con bambini, galli e galline, qualche capra se si arriva dalla campagna e poi una quantita’ enorme di scatole e scatoloni, con prodotti agricoli o cose comprate in citta’ da rivendere nel villaggio… E chi piu’ ne ha piu’ ne metta: basta alzare gli occhi al tetto del pulman per scoprire che qualcuno sta facendo trasloco con tanto di letto o divano con poltrone in corredo, oppure che qualcunaltro si e’ comprato il motorino nuovo e l’ha legato lassu’…

Fantastica poi l’esperienza del “matatu” in villaggi di campagna, dove ti ritrovi a condividere due sedili in quattro piu’ un quinto seduto nel passaggio su un assicella di legno fornita dall’autista… Succede cosi’ che i figli del tuo con-sedile si siedano sulle tue ginocchia,  una gallina legata per le gambe finisca sotto i tuoi piedi, la musica tradizionale ad alto volume e la guida spericolata dell’autista ti intontiscano… e sul piu’ bello, ovviamente il tuo vicino decida che quella in mezzo al nulla e’ proprio la sua fermata… e cosi’ si deve scomporre in un secondo il perfetto incastro che gli scossoni avevano creato tra gli occupanti del pulmino per lasciare scendere il buon uomo! Il “posto” (cioe’ i 4 cm di spazio occupati dal tuo ex vicino) non rimarra’ vuoto a lungo: l’autista infatti non avra’ il coraggio di rifiutare una signora di… bella stazza (come le tante signore kikuyu delle champagne) sul ciglio della strada con sacchi e bambini al seguito… E anche se tu ti chiedi come ci entrera’ tutta questa umanita’ e roba in questo spazio ristretto, non ti preoccupare… ci entrera’… perche’ c’e’ sempre posto per un cliente! E come canta una famosa canzone: Kenya yetu, Hakuna matata! Nel nostro Kenya non ci sono problemi!


 Ma la scena piu’ bella arriva al momento di pagare il “biglietto”: il controllore (anche lui pigiato contro il finestrino, molte volte in piedi tra la porta e il sedile, con la testa che batte nella capotta) chiede a quelli vicini a lui di chiamare i piu’ lontani e allora inizia una catena di gesti superlativi (una specie di linguaggio dei segni) che consiste nel tocco della spalla del vicino con il classico segno dei soldi con pollice e indice e cosi’ via con il… telefono senza fili, fino a raggiungere tutti i passeggeri!

Le cose cambiano quando ci si inoltra nella provincia del Nord-est o nord-ovest dove i km di pista sono ancora molti (anche se temerari ingegneri cinesi sono all’opera per asfaltare la grande strada che ci collega con l’Etiopia – che fa parte della lunga arteria Il Cairo-Citta’ del Capo!). Da noi risale solo a due anni fa l’apparizione di un pulman di “linea” giornaliero che collega Marsabit ad Isiolo o Nairobi. Prima per scendere al sud (dove tutta l’attivita’ del Paese e’ concentrata, essendo la zona nord desertica e ancora basata su economia “semi-nomadica”, e quindi poco sostenibile e con grande sacche di poverta’) un solo mezzo era disponibile: il famigerato “lorry”, che qui sta ad indicare qualsiasi “carretta” a quattro o piu’ ruote, dal semplice pickup al camion al grande snodato… Essendo questi mezzi usati per il trasporto di merci e di animali e non avendo posti a sedere (tranne i due vicino all’autista), uomini donne e bambini si arrampicano sulla capotta sedendosi sulle sbarre di ferro e viaggiando cosi’ per diverse ore, anche dodici… Vi lascio immaginare la stanchezza e la forma… del fondoschiena all’arrivo!

E cosi’ sono anche collegati tutti i villaggi che circondano Marsabit, dai piu’ vicini fino a quelli spersi nel deserto di sale del Chalbi, a centinaia di km di distanza.

Un’altra incognita dei viaggi e’ l’ora di partenza e quella di arrivo… che ovviamente non sono mai fisse, ma si adattano alle esigenze dei viaggiatori e del conducente. E dipendono dalle condizioni della strada: eh si’, perche’ nei 250 km che ci separano dall’asfalto, tutto puo’ succedere… e questo “tutto” ti spinge ad imparare la famosa  “pazienza” africana, se vuoi sopravvivere e sopravvivere felice e senza stress. Perche’ puo’ capitare che non solo si buchi una ruota e non si abbia il cambio, ma che un pezzo del mezzo si rompa e che non si riesca a ripararlo con una corda o con fil di ferro e tocca passare ore sotto il sole o nel freddo della notte (e li’ sperimenti che nella savanna vivono un … sacco di animali!!!). Puo’ anche capitare, come capita in questi giorni di stagione delle pioggie, che il povero lorry non riesca a superare certi punti “allagati” da fango al ginocchio e che rimanga quindi impantanato, impedendo il passaggio a tutti i veicoli sulla strada. Anche in questo caso tocca aspettare che l’autista con qualche uomo di buona volonta’ scarichi il carico dal camion, poi si metta a scavare con pala e zappa – trasformando quel che rimaneva della strada in un campo pronto per la semina, infilando sotto le ruote del bestione grosse pietre (che per fortuna non mancano)… che si spera riescano a dare un buon appoggio per la ripartenza…

E non e’ che questo succeda solo ai camion… Alcuni anni fa, in uno dei viaggi missionari prima di stabilirmi qui, cercando di raggiungere in Land Rover un villaggio ad un centinaio di km dalla cittadina, siamo sorpresi, proprio nel bel mezzo del deserto, da un fiume stagionale che raccoglie le acque di tutta la regione montana circostante. L’acqua scorre impetuosa ed e’ pericoloso anche solo provare ad avvicinarsi. L’unica e’ aspettare. Ed e’ quello che facciamo, lasciando che il primo pomeriggio assuma il rosso del tramonto poco a poco fino a trasformarsi nel meraviglioso manto notturno, accompagnato da milioni di stelle che solo un cielo nel deserto ci puo’ regalare … Il silenzio profondo, interrotto solo dagli ululati delle iene in cerca della cena, si accompagna alla sensazione di un abbraccio protettivo, di calma profonda, che sembrava venire dalle viscere della Terra. I  morsi della fame si fanno sentire e con sister Isabel e padre Alex, condividiamo quel poco di frutta e acqua che l’esperienza ci ha insegnato a mettere nello zaino. Ma a quanto pare, la luce del nostro fuoco non passa inosservata neanche in mezzo a pietre e acacie spinose e vediamo luci di torcia muoversi nella notte come lucciole… Sono morani, giovani guerrieri Rendille che stanno di guardia agli animali al pascolo, lontano dal villaggio e costruiscono capanne provvisorie dove passano la notte… Nel buio della notte, solo il bianco dei loro occhi e dei loro denti. Loro poche parole di Kiswahili (la maggior parte non e’ andata a scuola) e noi quasi nessuna di Rendille. Parlano tra di loro, e dopo un po’ arrivano con alcune tazze di latte munto poco prima… Mai regalo e’ piu’ gradito: nel pentolino di emergenza sbucato da sotto un sedile gia’ si scalda ed emana nell’aria fresca il profumo classico di “carbone”, dai contenitori dove lo ripongono per conservarlo anche per diversi giorni. Intorno al fuoco chiacchieriamo  e ci godiamo lo spettacolo di costellazioni che neanche sapevamo esistere. Pace profonda. Rassicurati dalla presenza dei morani non troppo distanti, cerchiamo di sistemarci alla meglio nella Land Rover per dare un po’ di riposo ai nostri corpi. Il primo sole del mattino non ci da’ il tempo di svegliarci con calma, che gia’ fa caldo. L’acqua e’ scesa di livello e si decide di tentare, dopo esserci assicurati della consistenza del letto del fiume. Quattro ruote motrici e la vecchia Rover passa egregiamente il test… e noi si procede, ringraziando per quella avventura finita bene, per quella generosita’ inaspettata da parte di sconosciuti, per quella pace tipica delle notti africane e per…il dono dell’acqua, che preziosa dara’ da bere a tanta gente e animali…

giovedì 14 marzo 2013

Quotidianita'

Sembra che questo mese di marzo stia portando tante novità… e non è male che io abbia aspettato tanto a scrivere. Il mettere per esteso quello che vivo tutti i giorni sta diventando sempre più difficile, perché a volte è così incorporato nella vita quotidiana e quindi “normale” che mi sembra sia appunto … non straordinario. Mi accorgo sempre più di come distano i miei vissuti e le mie emozioni, dopo 4 anni e più spesi qui, da quelle di un visitatore o giovane in esperienza missionaria… ed è giusto che sia così: quotidiano. Perché è nella quotidianità che costruiamo le relazioni più vere, che mettiamo le radici e cominciamo a trasformarci e a lasciarci cambiare, che prendiamo decisioni che ci stravolgono la vita o semplicemente la perfezionano sempre più, perché diventi finalmente Vita.
Parecchi amici mi chiedono come dev’essere diverso o strano vivere la gravidanza qui, in questo contesto… A volte mi ritrovo nei racconti di mia madre o di mia nonna sulle loro gravidanze. Quello che mi sento di dire è che amo questa gravidanza “non medicalizzata”. Forse alcuni ci possono anche chiamare incoscienti dal punto di vista della nostra cultura italiana, con esami prestabiliti a scadenza molto breve (soprattutto se si è seguiti da ginecologi privati), ma amo la libertà di affidarmi tanto e sempre di più a Colui che è il donatore del dono. Per Michael è una cosa normale, per me all’inizio è stato ovviamente un po’ più difficile: andare a fare l’ecografia all’ospedale governativo di Marsabit ed accorgersi che quello che ci veniva detto non erano che le informazioni basi e niente di più… mi ha deluso un po’. Quando abbiamo osato chiedere se si poteva sapere il sesso del bimbo alla ventesima settimana, l’omino ci ha risposto che forse all’ottavo mese era possibile!!!  Ma a questo punto perché non aspettare la nascita, mese più mese meno! Quindi ci siamo detti che era meglio non farne più di ecografie qui a Marsabit, risparmiamo delusioni e mezze notizie che non servono a niente se non a metterci in agitazione. Per quanto riguarda i controlli, il sistema sanitario kenyota ne offre quattro, utili, con esami di base e infermiera specializzata che osculta il cuore del pupetto e dà spiegazioni, consigli sull’alimentazione e sullo sviluppo.
Fatto sta che qui la gravidanza è vissuta in modo completamente diverso per la società, almeno per quanto riguarda i primi mesi. Nessun annuncio ufficiale anzi quasi un nascondimento (della moglie di un nostro vicino di casa siamo venuti a sapere che era incinta quando… è nato il bambino! Con le nostre maestre, l’annuncio è arrivato direttamente… dal pancione, non più nascondibile sotto i vestiti pur abbondanti!), il marito per niente coinvolto (nessuno chiede a lui come sta la moglie o quando nascerà loro figlio!), gli altri figli che non osano neppure chiedere cosa sta succedendo alla mamma e alla sua pancia… (come non lo chiedono a me i miei alunni, nemmeno delle prime classi elementari!)… e così via. Se questa “secchezza” all’inizio questo mi ha dato fastidio, devo dire che ci ha anche permesso di assaporare, senza stress, questo dono come prezioso e “nostro”. Ovviamente, noi l’annuncio lo abbiamo dato alla famiglia e agli amici vicini e lontani, agli altri missionari, ecc… perché ci piaceva, in semplicità, renderli partecipi di una grande gioia. Ora che il pancione annuncia da sé l’arrivo di un altro membro della famiglia, le cose sono cambiate e sempre più sguardi sorridenti si posano su di esso, con qualche parola semplice o atto di attenzione per la mamma. Mentre le donne mi si fanno più amiche e le sento vicine senza barriere particolari, per gli altri uomini resta un tabù, a meno che non sia Michael ad aprire il discorso e a dire qualche parola sul fatto.
Consapevoli che la nostra vita cambierà e di tanto, sento il peso di non avere la famiglia mia e di Mike vicina per un appoggio concreto o spirituale. Ma dato che il Signore non ci ha mai fatto mancare il Suo sostegno, penso che troveremo soluzioni, magari inaspettate, anche questa volta.
Intanto il nostro pargolo non ci dà ancora occasioni di preoccupazioni: provetto calciatore com’è, e amante delle 4 stagioni di Vivaldi, nonché di cioccolato e delle carezze del papà, non manca di farsi sentire e questo ci dà un senso di sicurezza che va oltre il migliore esame specialistico!
A volte ci troviamo a fantasticare sulla sua vita futura: i primi giorni di vita, già alle prese con inevitabili viaggi su strade… caratteristiche; i primi anni, con così tante lingue da imparare (l’italiano con mamma, l’inglese con papà, il kiswahili per la quotidianità e il borana con gli amichetti!)… e poi la scuola, così competitiva, mnemonica, punitiva e poco a misura di bambino, e poi chissà… lui/lei che è e sarà l’unione di due mondi, che è e sarà un nuovo inizio, una nuova cultura, un  nuovo modo di vedere la vita, non nera ma neppure… bianca!
 
In realta', a livello nazionale, la notizia piu' grande e' stata l'elezione del presidente del Kenya con tutto il suo entourage... Le parole si sono sprecate, la calma e' stata piu' o meno mantenuta, ora il caso e' in tribunale per brogli elettorali alle urne e quindi non si sa quando e come finira'. Per ora sappiamo solo che non c'e' tensione e la gente non vuole piu' parlarne... Ora la decisione spetta ai giudici.
Ho trovato molto completo l'articolo di padre Kizito che legge la realta' in un modo molto imparziale e legato alla storia del Kenya: