giovedì 29 ottobre 2009

Terra di uomini

Bambino
Armato e disarmato in una foto
Senza felicità
Sfogliato e impaginato in questa vita
sola
Che non ti guarirà.
Crescerò e sarò un po’ più uomo
ancora
Un’altra guerra mi cullerà.
Crescerò combatterò questa paura
Che ora mi libera.

Milioni sono i bambini stanchi e soli

In una notte di machine,

Milioni tirano bombe a mano ai loro cuori

Ma senza piangere.


Ragazzini corrono sui muri neri di città
Sanno tutto dell’amore che si prende
e non si dà.
Sanno vendere il silenzio e il male
La loro poca libertà
Vendono polvere bianca ai nostri
anni
E alla pieta.


Bambini, bambini…


Bambino
In un barattolo è rinchiuso un seme
Come una bibita
Lo sai che ogni tua lacrima futura ha
un prezzo
Come la musica
Io non so quale bambino questa sera
Aprirà ferite e immagini
Aprirà
Le porte chiuse e una frontiera
In questa terra di uomini,
Terra di uomini.. oh bambino
Qual è la piazza in Buenos Aires dove
tradirono
tuo padre, il suo passato assassinato
Desapareçidos.
Ragazzini corrono sui muri neri di città
Sanno tutto dell’amore che si prende
e non si dà
Sanno vendere il silenzio e il male
La loro poca libertà
Vendono polvere bianca ai nostri
anni
E alla pieta.


Bambini, bambini.


Bambino
Armato e disarmato in una foto senza
felicità,
Sfogliato e impaginato in questa vita
sola
Che ti sorriderà.


(Bambini - Paola Turci)

lunedì 26 ottobre 2009

A proposito di "cuore nero dell'Afrika"...

Non lo capisco... Qui mi si scombinano le carte in tavola ogni giorno e sono provata con il fuoco. Se per me fino ad ora e' stato relativamente facile discernere il bene dal male, cioe' insomma... le cose buone, che possono portare frutto, e le cose che hanno magari un gusto piacevole ma che non portano ad una Vita Buona... E sapevo farlo rimettendoci di persona... ecco qui in questi giorni non e' piu' tanto cosi'!
In una terra dove quasi tutto e' permesso, dove la gente sa inebriarsi di vita... e sa tenere il piede in piu' di due scarpe... dove per me non c'e' pressione sociale, ma solo tanta, troppa ammirazione... Il bianco attira come la luce, e mi e' davvero difficile leggere in fondo nei cuori di questa gente, soprattutto dei ragazzi, degli uomini. Si confondono desideri, attrazioni, infatuazioni, innamoramenti ed amore... cioe' Amore, quello per cui sei disposta a dare la Vita. Tutto confuso. In questo cuore nero dell'Afrika io non ci so leggere.
Oggi ero a Tangaza College, universita' cattolica dove si studia teologia, per salutare alcuni amici e per il mese missionario, i religiosi di diverse congregazioni hanno organizzato un banchetto informativo, con volantini, foto, poster e powerpoint. Ed ho pescato una frase da un cestino: "I am sending you out like sheep among wolves, se be cunning as snakes and yet innocent as doves" (Mt 10, 16)...
E' certo la frase per me oggi. E' certo la sfida, non solo per me: prudenti come i serpenti e semplici come le colombe.


Si puo' essere un "serpente-colomba"?


Occhi fissi alla Luce. Senza lasciarsi spaventare, attrarre da altri sberluccichii...

domenica 25 ottobre 2009

Un anno fa...



"Ricordare" rinforza le motivazioni e le rinnova. E' atto dello Spirito, come dice Giovanni nel suo Vangelo.
Ad un anno dal mandato del Vescovo Dho ad Alba, un grande e profondo G R A Z I E a tutti coloro, con cui abbiamo continuato a costruire comunita' e comunione. Perche' MISSIONE NON E' UN POSTO, MA UN MODO DI ESSERE. Per questo la nostra missione e' una sola, anche se in parti diverse del mondo.
Preghiamo gli uni per gli altri.

sabato 17 ottobre 2009

Blessing - Benedizione

Saturday, the 17th October 2009

And that “black heart”, for the first time after more than one year in which it hadn’t saw a drop of water from the sky, now is green. Brilliant green. For times, it hid its seeds, that now are germinating and, it seems they are singing of joy, feast of Easter, of resurrection. It rains! No people waiting at wells: the mothers are at home, resting, looking at the dark sky and breathing the perfume from the wet soil, where they planted maize and beans, while their children are playing and singing.
The people on the street greet me. Today they are relax and they have time, more than usual: they stay and talk and it’s easy to be infected by this atmosphere of feast. Marsabit is living a new light of peace.
Last week, I asked the pupils in Standard 4 to draw a peaceful school: beautiful results, full of particulars... but one amazed me more than the others: Abdul drew a big building full of happy children, while from the sky it was raining dogs!
“Sisi tuna kichwa kigumu, lakini Mungu ametubariki tena” – say the people in Marsabit. This is His mercy. This is His peace.
Thank God and be in feast with us!


Sabato, 17 ottobre 2009
E quel “cuore nero”, per la prima volta dopo un anno e mezzo in cui non ha visto una goccia di acqua dal cielo, ora è verde. Verde brillante. Ha tenuto nascosti in sé semi e radici, che ora crescono rigogliosi e canta di gioia, festa di Pasqua, di Risurrezione. Piove! Pozzi deserti; le mamme si riposano a casa, contemplando il cielo scuro e respirando il profumo della terra bagnata, in cui hanno seminato con speranza fagioli e mais, mentre i bimbi giocano cantando. La gente per la strada mi saluta rilassata. Hanno tempo oggi, più degli altri giorni: si fermano a parlare ed è facile farsi contagiare da quest’atmosfera di festa. I cammelli, che sempre in fila ordinati, seguivano il loro pastore alla ricerca di un pascolo, ora corrono come bimbi. Marsabit è avvolto in una luce di pace.
Agli alunni di quarta elementare la settimana scorsa ho chiesto di disegnare una scuola in cui secondo loro regnasse la pace: disegni fantastici, pieni di particolari… ma uno mi ha colpito: Abdul ha tratteggiato un grande caseggiato pieno di bambini felici mentre dal cielo scendeva una pioggia battente! “Il Signore ci ha benedetti di nuovo, anche se abbiamo la testa dura” – dice la gente di Marsabit -. Questa è la Sua misericordia. Questa è la Sua pace.
Ringraziate e fate festa con noi!

The nations will come to its light

Wednesday, the 14th October 2009

Tonight is one of those moments in which I feel on my shoulders all the tiredness of our walk, not only physical tiredness because of walking on foot long distances in our dusty roads near the houses, but it’s also tiredness of that going that is typical of the human life. It could be the commitment in our primary school “Memorial Father Asteggiano”; or maybe the meetings in the secondary schools, for which I have to prepare myself very carefully; it could be the fact of meeting people, children, mamas, wazee, teachers, missionaries the whole day... that doesn’t leave me any “privacy” to rest; or maybe the difficulties in communications and transports; it could be the prejudices about “wazungu”, white people in the mind of these people; or maybe for the exhausting waiting of the rain, that blessed us only few hours, after more than one year...

For all these factors sometimes I need to recover my energies and to think of the signs of the Kingdom of God present between us.

Like that child I met on the way back to my house: he was smiling and playing with other children, but he stopped me, put his hand in his pocket and with the hand full of biscuits’ crumbs asked: “Yoya’, intal. Unapenda biscuiti?”. I opened my hand to welcome that gift: “Yoya, toto. Ndiyo, napenda sana. Asante”.

Like Emmanuel, a teacher in Memorial school, who is always available to help someone in difficulty in the school.

Like the members of the Small Christian Communities of the Cathedral, here in Marsabit, who meet once a week to read and share the Gospel.

Like that small girl, 2 years old, who is suffering for that mortal disease called AIDS, but with her joy she is fighting it every day.

Like James, chemistry teacher, who is finishing his Master, who doesn’t forget the people of Marsabit and the students in “Cavallera Secondary School”, where he tough, even if now he is far.

These are small lights that I’m helping me to enter in what it’s called “the black heart” of Africa. A heart that I have difficulty to understand and sometimes to welcome in me. A heart which hides to me something, always; which doesn’t allow me to know deeply these people. Maybe because that heart is the mystery of the human beings that is telling me that we cannot take for granted that we completely know one another and belong to him/her, without having nothing new to discover. We grow and we change every day.

And now that hear, still black, is not so dark anymore because it is in search of something more, rich of desires and full of amazement for something beautiful and not awaited. The day will come, in which there’ll be perfect light, in us, in the others, in the history of the world... And so really, as the Pope wrote in the message for the World Mission Sunday: “The nations will come to its light”.


Mercoledì, 14 ottobre 2009

Stasera è uno di quei momenti in cui sento sulle spalle tutta la stanchezza del camminare, non solo del camminare vero e proprio, a piedi, nei nostri polverosi sentieri che si snodano tra le casupole, ma di quell’andare che è proprio della vita di ogni essere umano. Sarà l’impegno nella scuola primaria “Memorial don Asteggiano”; saranno gli incontri nelle scuole superiori, per cui bisogna prepararsi bene; sarà il continuo incontro con la gente, bambini, vecchi, mamme, insegnanti, missionari… che mi lascia così poca privacy; sarà anche la difficoltà nelle comunicazioni e nei trasporti; saranno i pregiudizi sui “bianchi” nella maggior parte della gente di qui; sarà la snervante attesa per la pioggia, che per ora ci ha benedetto solo per alcune ore… Fatto sta che a volte, per combattere l’inaridimento anche spirituale e per ritrovare le forze, mi sforzo di accorgermi dei segni del Regno di Dio presente tra di noi. Come quel bimbo che oggi, sulla strada del ritorno, mi saluta sorridente, si leva una manciata di briciole dalla tasca e mi dice: “Sister, prendi un biscotto”. “Grazie”, gli rispondo, accogliendo quel dono nella mia mano. Come il maestro Emmanuel, che stamattina a scuola ha lasciato i suoi impegni e mi ha aiutato a preparare l’esame di religione di quinta elementare. Come i gruppi di cristiani, una decina, che una volta a settimana si ritrovano a leggere e condividere il Vangelo. Come Guyato, due anni appena, che già soffre per quel male mortale che è l’AIDS, ma con la sua voglia di vivere, lo combatte tutti i giorni. Come James, kenyota del sud, studente universitario di chimica a Nairobi, che non si dimentica della gente di Marsabit e delle ragazze della scuola secondaria della diocesi a cui ha insegnato per diversi anni.

Sono piccole luci che mi conducono in quel che è chiamato “il cuore nero” dell’Africa. Un cuore che faccio fatica a comprendere e alcune volte pure ad accogliere. Un cuore che mi nasconde sempre qualcosa, che non mi lascia mai conoscere a fondo le persone. Forse perché quel cuore è il mistero dell’essere umano, che mi dice che non si può mai dar per scontato di conoscersi o conoscere un’altra persona, senza aver più niente da scoprire. Si cresce e si cambia ogni giorno.

E allora quel cuore, ancora nero, non è più così oscuro perché in ricerca, ricco di desideri e pieno di stupore per qualcosa di bello e inatteso. Arriverà il giorno in cui sarà luce perfetta, in noi, negli altri, nella storia del mondo… E allora davvero, come ci ricorda il papa nel messaggio per il mese missionario: “Tutte le nazioni cammineranno nella Tua luce”.

Un grazie dal cuore di questa Chiesa che è in Marsabit a voi tutti che, in comunione di fede e di vita, ci portate nei vostri pensieri e ci aiutate, anche materialmente. A un anno dal mandato missionario ricevuto dal Vescovo Mons. Dho, continuiamo a camminare insieme per costruire una storia che sia futuro per tutta l’umanità. Il Signore vi benedica. Mungu awabariki.

martedì 13 ottobre 2009

Segnare dentro

Un misto di stanchezza e rabbia, quella che nasce dal senso di impotenza, posso intuire in questi giorni nel mio cuore. Sentimento nuovo, che in questa terra africana non mi fa nemmeno venire in mente di combattere o lottare, ma è impastato con ciò che respiro ogni giorno: arrendevolezza. Bene o male, bello o brutto, é quello che vuole Dio – é quello che si pensa e si dice qui, tipica filosofia musulmana, che spegne ogni fuoco di ribellione o riscatto. E a volte é proprio questa arrendevolezza che mi mette rabbia dentro. Forse per la mia indole combattiva e difensiva, pronta a lottare prima di accettare.
Aspettiamo la pioggia tra pochi giorni (gia' ha piovuto un po' di ore, e questo e' di buon auspicio!) e intanto arriva quel che si chiama “relief food”, il cibo mandato dal Governo alle famiglie povere. È distribuito gratis. Tanti lo ricevono e in questo momento arriva come benedizione in molte famiglie della città, che hanno perso per strada la forza e la condivisione della comunità e del clan e che nella modernità cittadina non hanno trovato altri valori da sostituire a questi. E se ne rimangono così doppiamente poveri. Doppiamente miseri. Bene, …, o forse un po’ meno bene, quando andando al mercato, trovo questo cibo sui banchi dei negozi. Il cibo destinato ai poveri non è stato distribuito tutto, evidentemente, o è stato distribuito male… E noi che si fa? Si è costretti a COMPRARLO, anche per nutrire i ragazzi della scuola della parrocchia, perché non se ne trova altro. Insomma, copriamo il cibo dei poveri (che doveva essere dei poveri) per… ridarlo ai poveri! Certo, che razza di giustizia é mai questa!
E la stessa cosa succede con l’acqua che il governo dovrebbe dare gratis, due volte il trimestre, ad ogni scuola, pubblica o privata. Di acqua ne arriva un camion solo… Non fatemi pensare dove si è perso l’altro… Venduto, o regalato a qualcuno che nella sua casa con il tetto di tegole (rare qui in Marsabit), con un’auto parcheggiata in giardino, ci sta già da pascià. E come si dice… i ricchi sempre più ricchi…
Per fortuna qualcuno inizia a parlare e a denunciare, almeno a parole, quello che sono i fatti, che tutti conoscono. Non è ancora la soluzione ad una società e ad un Governo corrotto, ma almeno apre uno spiraglio.

E poi ogni giorno, prendo più coscienza del “particolare” rapporto tra uomo e donna, cioè tra marito e moglie. E oggi per poco non scoppiavo a piangere in faccia ai maestri, durante il pranzo al Memorial, quando uno di loro, originario di Marsabit (gli insegnanti – per fortuna – arrivano da tutto il Kenya e ciò permette un buon equilibrio), raccontava di come un marito si fa rispettare dalla moglie. “E guai se alla sera lei va a dormire prima di me, o se mi butta lì il piatto sul tavolo, così, questa è totale mancanza di disciplina. Se le prende. Se le prende, con ragione o senza. Qui la donna sa che se riceve botte dal marito, é amata da lui. É un modo di amare”. L’unica insegnante donna (arriva dal sud del Paese), oltre a me, ha chiesto: “E tua moglie cosa dice?”. “Mia moglie, cosa deve dire? Sta zitta!”. Ho sentito raccontare mille volte queste cose, ho visto donne con i segni visibili di questo… “affetto” coniugale… ma oggi, conoscendo il maestro e la sua famiglia, mi e’ venuto un groppo in gola. E a stento ho trattenuto le lacrime. Non ho avuto la forza di aprire bocca. Ho solo pensato a quanto stanca può arrivare la sera una mamma di Marsabit (se penso che la mia stanchezza è già tanta, pur badando poco alla casa, al cibo e senza bambini miei), con il pensiero di dove andare a procurarsi l’acqua e la legna per il fuoco e guardare i suoi figli… e questa mamma ha l’OBBLIGO (perché è un obbligo culturale e sociale) di far trovare l’acqua calda per il bagno al marito al suo ritorno a casa (dal lavoro, dal bar o da qualsiasi posto…!) e il cibo pronto. Il marito deve mantenere la famiglia, ma non sempre lo fa… e nessuno “gliele da’ di santa ragione”!
Forse la cosa che mi ha urtato di più è stata quella che di mezzo ci ha messo pure la religione: “Perché noi cristiani”… Noi cristiani?!?!? Ti prego, lascia stare in pace Cristo. Qui non c’entra niente e se tu pensi che agendo così, continui ad essere cristiano, non hai idea di che cosa significa essere “di Cristo” oppure hai davvero avuto un esempio terribile di Chiesa e di fraternità cristiana!
E’ soprattutto nel contesto matrimoniale che sento una forte necessità di redenzione e liberazione. Questo modo di pensare e di agire è una schiavitù, per molte moglie e per altrettanti mariti, che non vivono appieno il profondo significato di darsi l’uno all’altra per tutta la vita, di un amore che va altro all’obbligo e al soddisfacimento dei bisogni umani! E’ qui che sento che Cristo e il Vangelo potrebbero davvero rinnovare, cioè fare nuovi, i rapporti umani, soprattutto nel matrimonio. Qui Cristo ha spazio per liberare e per ridare dignità ad ognuno. Qui c’è necessità di lasciarlo entrare…

Se solo apro gli occhi sulle ultime coppie che si sono sposate in Chiesa in questi mesi, so che i begli esempi ci sono e parlano chiaro. Come quello di Gabriel e Teresa, che hanno celebrato il loro matrimonio il 20 settembre. Gabriel, originario dell’Etiopia, ma emigrato a Marsabit con la sua famiglia quando era piccolo, non ha avuto paura a scegliere Teresa, Gabbra di Bubisa, unica cristiana nella sua famiglia, rimasta recentemente orfana di padre e madre. Gabriel, che ha avuto il coraggio di prendere in braccio Teresa (mai si è visto pubblicamente una cosa così qui: tu sei libero di fare tutto in casa tua, ma fuori marito e moglie si comportano come “vicini di casa”, rapporti più che politicamente corretti e… distaccati, è un dato di fatto, culturale), per farla scendere dall’auto e portarla dove gli invitati aspettavano per il pranzo.
Metto qui la foto delle loro mani. Perché siano segno di speranza per tutte quelle donne che non hanno mai conosciuto Amore dal loro partner. Siano segno di speranza anche per noi che andiamo in giro per le scuole a parlare, a condividere con i giovani delle superiori… perché non ci stanchiamo mai di “in-segnare”…: SEGNARE DENTRO qualcosa di Buono e di Bello per la loro vita. Che non viene da noi, dalla nostra cultura o istruzione, ma viene da più in alto o… forse da più in basso, dalla comunanza del nostro essere umani e del saperci creature originali e uniche nella storia del mondo.