sabato 16 gennaio 2010

E se non fosse un sogno...

Non c’e’ un attimo di pausa in questa terra rossa, cosi’ benedetta dalla pioggia che ora e’ diventata tutta verde… Pensavo che durante le vacanze di fine anno scolastico (da fine novembre a inizio gennaio) potessi avere tempo per fare tante cose, visitare alcune famiglie, partecipare agli incontri dei gruppi femminili con sister Pierina, scrivere, mettere un po’ a posto la casa e anche riposarmi e avere tempo libero… E invece mi sono ritrovata piacevolmente occupata per organizzare la venuta dei nostri quattro amici di Alba, con i quali abbiamo condiviso tre intense settimane “missionarie”, Natale e Capodanno compresi! E poi immediatamente dopo, tra l’apertura della scuola e l’inizio delle attivita’ pastorali 2010, il tanto atteso (e rimandato!) incontro dei laici missionari della diocesi di Marsabit.
Una dozzina di volti con altrettante storie, radici, professioni, sogni e sfide da affrontare nella vita missionaria di ogni giorno: Gilberta, Alina, Adrian, Michael, Felix, Rose con la sua bella Daisy di tre mesi, Goeffrey (new entry), Enrico, Naftaly (il nostro leader!), Angela ed io.
Nel nostro primo incontro in maggio 2009 (primo incontro dei laici missionari in assoluto nella storia della diocesi!) avevamo espresso il desiderio di ritrovarci due volte all’anno, per condividere le nostre esperienze (dato che siamo sparsi in tutta la diocesi, che e’… grandina!), le sfide della nostra missione, i sogni e i successi e… per divertirci un po’ insieme. E cosi’ e’ stato: giovedi’ 7 ci siamo ritrovati al Pastoral Center di Marsabit e abbiamo programmato la nostra tre-giorni, senza dimenticare di inserire lo spazio per un mini-ritiro spirituale, un po’ di sano divertimento insieme e la visita ad Henry, arrivato qui 30 anni fa come missionario laico dalla Svizzera e poi sposatosi dopo diversi anni di servizio nella diocesi e ora proprietario di un’officina artigianale e sereno cittadino di Marsabit con sua moglie Chukulisa e i suoi 7 figli. Henry ci ha accolti nella sua casa e, tra una costina e una birra, ci ha raccontato la sua avventurosa vita… in cui abbiamo potuto ritrovare tratti comuni alle nostre vite di missionari laici del 2010. “Dopo cosi’ tanti anni in Kenya, ti senti piu’ svizzero o piu’ kenyota?” gli ho chiesto. Con un sorriso mi risponde che si e’ sempre sentito piu’ a casa qui a Marsabit che non la’ in Svizzera e… che “forse se avessi proprio dovuto mi sarei adattato a vivere nel paese dei miei genitori, dopo i miei primi tre anni di servizio in Kenya. Ci ho anche provato: dopo una settimana che ero a casa, avevo gia’ un lavoro. Prendevo il treno alle 6 di mattina che era ancora buio e ritornavo a casa alle 6 di sera, che era di nuovo buio… Mi sono detto: “ Ma che razza di vita e’ questa, dove non si vede mai il Sole?”. E ho iniziato a pensare seriamente di ritornare a Marsabit per altri tre anni di servizio missionario. Non sono scappato, ho solo cercato il posto dove potessi essere piu’ utile e essere in pace con me stesso e con gli altri.”.
Rimaniamo stupiti da quante analogie ha la sua storia con le nostre storie e mettiamo sul piatto le nostre paure (la paura del ritorno in patria e del sentirsi disadattati, per esempio) e le soddisfazioni che incontriamo nella vita qui, pur facendo i conti con condizioni difficili e a volte dolorose.
E ci scopriamo AMICI, di quella amicizia che solo la condivisione di un progetto comune e di una natura comune puo’ dare in modo cosi’ profondo. E desideriamo di piu’: che il nostro incontrarsi non sia solo occasionale, ma che sia il punto di partenza per la formazione di un gruppo, con i suoi obiettivi, la sua missione, il suo nome e il suo motto, senza pero’ creare conflitti con la realta’ che ci ha inviato e che ci sostiene…
E mi scopro sempre piu’ innamorata di questa vocazione LAICA, di essere cristiana in mezzo alla gente, cercando di guardare il mondo dal punto di vista di Cristo, che e’ poi il punto di vista dell’uomo pienamente compiuto, pienamente tale. E di farlo con altri con cui condividere lo stesso cammino. Questo rende un po’ piu’ vivibile e rilassante anche la croce dell’essere sola come missionaria laica qui nella parrocchia di Marsabit. Ma chissa’ che lo Spirito Santo non provveda e guidi qui il cuore di qualcun altro…: mai dire mai!

mercoledì 13 gennaio 2010

Non per cambiare l'Afrika... ma per camminare insieme!

Da "Gazzetta d'Alba", 12/01/2010
Pazienza e rispetto. Sono le prime parole che bisogna imprimere nel cervello e nel cuore prima di partire per un’esperienza missionaria. Rispetto per le genti e per i luoghi che si vanno a visitare; pazienza nell’aspettare che germoglino i semi piantati dai primi missionari. Rispetto, perché deve essere chiaro che l’evangelizzazione non è operazione di colonizzazione culturale; pazienza, perché non è facile schiodare un popolo dalle proprie convinzioni. Non è facile far capire che un portatore di handicap è una persona come tutte le altre, perché dentro di lui c’è la vita, e che non è giusto che questi venga emarginato dalla comunità. E nella spicciola quotidianità, non è facile insegnare che, per prevenire le malattie, l’acqua deve essere bollita prima di essere bevuta. Il compito dei padri e delle suore missionari è questo: un lavorio paziente nelle menti e nei cuori della gente, talora frustrante; il contatto con i problemi quotidiani delle famiglie; una vita in mezzo alle persone e come le persone. Per i frutti, occorre avere molta pazienza.
Alba to Marsabit. L’idea di partire per il Kenya per far visita ai padri e alle suore missionarie di Marsabit – e non solo – è nata un po’ per caso. Non ci conoscevamo. Tutti e quattro, però, volevamo intraprendere un’esperienza di questo tipo. Per vie più o meno tortuose, tutti siamo arrivati al Centro missionario diocesano e a don Gino Chiesa, nonché a Patrizia Manzone, missionaria laica in Marsabit. Patrizia si è subito detta entusiasta della nostra visita. In poco tempo, don Gino ha messo in piedi un percorso di formazione, appoggiandosi all’esperienza di don Giacomo Tibaldi, per lungo tempo missionario nel nord del Kenya. Abbiamo anche incontrato don Bartolomeo Venturino, colui che, nel lontano 1962, insieme a don Paolo Tablino, si spinse da Nyeri, nel sud del Kenya, fino alle regioni più desertiche del nord, ed infine fino a Marsabit, fondando la prima missione e dando inizio ad un lungo cammino di riscatto spirituale e materiale con le popolazioni locali.
Nairobi. Partiti lo scorso 16 dicembre, dopo un volo «avventuroso», il primo impatto con il Kenya non è stato entusiasmante. Nairobi è una metropoli che ha preso il peggio delle città occidentali: traffico, inquinamento e criminalità. Ciò che urta di più, però, sono le contraddizioni. Mentre nel centro di Nairobi si vive «all’occidentale» – non mancano acqua, elettricità e grandi centri commerciali –, a pochi chilometri dal centro milioni di persone sono stipate nelle baraccopoli di lamiera, nel fango.
Il cammino verso il nord somiglia ad un regresso nel passato, ad un ritorno nella culla dell’umanità. Pian piano, i segni della globalizzazione e dell’occidentalizzazione scompaiono. Le case in muratura lasciano spazio prima alle lamiere, e poi alle capanne. Gli abiti tradizionali delle numerose tribù indigene prendono il posto di pantaloni e t-shirt. Non si parla più inglese, ed il kiswahili di Patrizia ci permette di incontrare la gente del luogo. Ad Archer’s Post termina la strada asfaltata e per arrivare a Marsabit mancano 250 chilometri. Il tracciato è tanto affascinante quanto ricco di insidie: anche in Kenya sono arrivate le armi e alcune popolazioni locali, in assenza di controlli, non esitano a fermare i passanti per rapinarli.
Marsabit. I padri comboniani – che hanno preso il posto degli albesi dal 1998 – ci hanno accolto con calore e semplicità, così come le suore. Non trascorrono una vita facile. Raccolgono l’acqua piovana in grandi tank di plastica durante la stagione delle piogge e cercano di farsela bastare per tutto l’anno. Dall’acquedotto non arriva una goccia. Il cibo è quello che arriva a Marsabit: patate, riso, carne, e raramente qualche «specialità» da Nairobi come pasta o formaggio. Padri e suore vivono in mezzo alla gente, sporcandosi le mani: accanto ai complessi problemi pastorali si innestano una serie di attività collaterali – prima fra tutte la gestione delle scuole primarie e secondarie in un’area in cui il governo non ha mai costruito nulla – che tengono impegnati a tempo pieno i missionari. Abbiamo la fortuna di avere con noi Patrizia che ci porta in mezzo alla gente, nelle case, nelle famiglie più o meno povere. Non dimenticheremo mai l’ospitalità degli abitanti di Marsabit.
Natale nel deserto. È sempre grazie a Patrizia che abbiamo trascorso un Natale davvero speciale. Abbiamo fatto visita a don Bartolomeo Rinino, già parroco di Roreto, a Kargi, in mezzo al deserto. Qui la vita è ancora diversa. Ci sono solo capanne e l’unica attività è la pastorizia. C’è un pozzo, ma l’acqua è contaminata. Don Rinino ed una comunità di fedeli davvero eccezionale ci hanno fatto vivere un Natale semplice, senza cene né regali, ma indimenticabile. La vicinanza di questo padre, la sua fede, la sua incrollabile energia ci ha piacevolmente sorpresi.
Ritorno a Marsabit. Tornati a Marsabit per la fine dell’anno, abbiamo avuto ancora la fortuna di poter visitare con Patrizia alcune realtà locali. Non potremo dimenticare la vergogna dell’ospedale statale di Marsabit, dove il confine fra vita e morte è davvero sottile. Diversa è la situazione nei dispensari gestiti da suore o padri. Sarà anche difficile dimenticare il volto dei bambini dell’orfanotrofio di Marsabit (gestito dalle suore di Madre Teresa di Calcutta) e di molte persone che ci hanno accolto con calore ed amicizia. Il ritorno a Nairobi ha significato un ritorno a ritmi, comportamenti e stili di vita occidentali.
Un’esperienza di questo genere è forte e ti cambia. Ha messo in dubbio molte delle nostre certezze e delle nostre difese culturali e personali. Molte sarebbero le cose da raccontare. Nulla sarebbe stato possibile senza Patrizia Manzone, la sua cordialità, il suo inguaribile ottimismo. La sua scelta «radicale» di mettersi in discussione e di dedicare tre anni della sua vita al completo servizio del prossimo, in un contesto di vita non facile, ci riempie di ammirazione, ma ci sprona anche a fare qualcosa in prima persona. Non per cambiare l’Africa: noi non dobbiamo cambiare proprio nulla. Solo per camminare insieme verso un futuro migliore.
Alessandro, Luisa, Martina e Teresa

mercoledì 6 gennaio 2010

Manifestazione

Per la festa dell'Epifania, che qui in Kenya, celebreremo domenica, perche' non e' festa "nazionale" oggi, riporto le profonde e chiare parole di padre Giovanni, che ha guidato tanti miei ritiri a Susa...
... Un proposito per l'anno nuovo (anzi per la prima settimana dell'anno nuovo)? Trovare il tempo e lo spazio per scrivere di nuovo... Lo faro'! O magari daro' la parola ai giovani di Alba che hanno condiviso con noi queste tre settimane di Natale, che certo avranno nel loro zaino domande e riflessioni su quanto abbiamo vissuto e incontrato... ;-)


"Etimologicamente EPIFANIA significa manifestazione.
Concretamente, la festa dell'epifania è la manifestazione della divinità di Cristo: a Betlemme, al fiume Giordano, a Cana di Galilea.

TUTTO E' GIA' ACCADUTO. I cieli nuovi e le terre nuove sono qui, in mezzo a noi. Satana è già stato sconfitto e il mondo salvato.
Tutto è iniziato in quella grande, silente notte della storia, quando il Verbo si è fatto carne.
Nulla, da quel momento, è più come prima: la storia dell'uomo è diventata la storia di Dio, Dio è diventato uomo, l'uomo è diventato Dio!
Nel momento in cui, rinascendo dall'acqua e dallo Spirito - come Gesù dice a Nicodemo - viene inserito nel mistero del Verbo incarnato, l'uomo diventa creatura nuova, fratello ed erede del nuovo Adamo: tutto il resto è soltanto più uno sviluppo e una conseguenza.
In tutta la sua esperienza terrena l'uomo è chiamato ad essere nuovo vivendo la novità del Battesimo, e a proiettare questa novità attorno a sè, perchè tutto sia penetrato e trasformato da Cristo.
I presepi si smontano: dove potrà ancora la gente contemplare la novità di Cristo? La sua povertà, la sua umiltà, la sua dolcezza, il suo spirito di solidarietà e di condivisione?
Senza dubbio nei discepoli di Gesù: in noi, chiamati ad essere presepi viventi!
Questo è l'augurio cordiale che vi faccio, e per questo invoco su di voi la benedizione del Signore."
"Alla fine, quello che manca è l'umiltà autentica, che sa sottomettersi a ciò che è più grande, ma anche il coraggio autentico, che porta a credere a ciò che è veramente grande, anche se si manifesta in un Bambino inerme. Manca la capacità evangelica di essere bambini nel cuore, di stupirsi, e di uscire da sé per incamminarsi sulla strada che indica la stella, la strada di Dio. Il Signore però ha il potere di renderci capaci di vedere e di salvarci. Vogliamo, allora, chiedere a Lui di darci un cuore saggio e innocente, che ci consenta di vedere la stella della sua misericordia, di incamminarci sulla sua strada, per trovarlo ed essere inondati dalla grande luce e dalla vera gioia che egli ha portato in questo mondo. Amen!"
(Benedetto XVI, omelia dell'Epifania)