martedì 1 settembre 2015

Nagayat Fr. Okola, arrivederci don Venturino!

"L'Africa non ha bisogno di voi, sia chiaro! È più il disturbo che l'aiuto che potrete dare!”: ascoltando queste parole ti ho conosciuto quindici anni fa, quando mi preparavo ad andare per la prima volta a Marsabit. Non mandavi a dire niente e per questo alcuni giovani si spaventarono e non partirono più.
Ma, frequentandoti di più, una volta che Marsabit era entrata nella mia vita, ti eri lasciato scoprire grande ascoltatore, qualità che più volte mi hai ripetuto di aver appreso durante la tua missione in Africa. E poi tanti racconti particolari di giornate, eventi, successi e fatiche con il tuo compagno fedele don Tablino, nella vostra terra di Maikona, tra i nomadi Gabbra, di cui avevate imparato lingua, cultura e tradizioni. Fotografie d'epoca sfogliate lentamente, a pochi intimi; racconti snocciolati piano piano come perle preziose, gli ultimi anche in occasione della nostra visita ad Alba il mese scorso.
Ti faceva piacere sentire le novità da Marsabit, anche se poi, quasi sempre concludevi con ragione: “L'Africa che abbiamo conosciuto noi non esiste più, voi vivete in un Marsabit diverso!”.
Quando domenica abbiamo passato la notizia della tua nascita al cielo ai cristiani di Marsabit, ci sono arrivate decine e decine di telefonate e messaggi, pieni di riconoscenza, affetto, ricordi e preghiera, come se non fossi mai andato via da loro, come se ti avessero sempre avuto vicino.
Grazie fr. Okola per la tua perseveranza nella ricerca del Bene. Grazie grande missionario, tu che dicevi: “A me l'Africa non manca, perchè io l'Africa ce l'ho dentro, io sono africano”. E ora che il tuo cuore vive senza limiti di spazio e di tempo, potrai finalmente assaporare tutto l'Amore e l'Affetto di Dio e nostro in piena consapevolezza e pienezza. Prega per noi e per l'Africa intera.
 
50 ANNI DI STORIA - 50 YEARS OG GOOD NEWS
Fr. Bartolomeo Venturino left Alba- Italy on August 1958 by ship from Venice to Mombasa and then immediately he started to teach in St. Paul Major Seminary in Nyeri. He studied canon law in Rome and he dedicated his ministry in Alba diocese as a teacher, but when he heard about the Encyclical “Fidei Donum”, asking for diocesan priests for Africa, wrote by Pope Pius XII in 1957, he told himself: “This is for me!”. He was addressed to Bishop Cavallera, in Italy in those months looking for new human resources to help him in evangelizing Nyeri diocese and to create a local clergy. Since Venturino arrived in Kenya, he started a prolific correspondence with fr. Paolo Tablino, friend, priest and teacher from his same diocese, who would join him in one year time. With him, he took his journey to the northern part of Kenya, opening a new era for the Catholic Church in Marsabit. In 1966 Bishop Cavallera sent fr. Venturino to Maikona, at that time a very small centre where the nomads stopped to water their animals. Venturino stayed there 3 years, building the houses for fathers and sisters, the church, the school and the dispensary. After this period he asked the bishop to take a break: he had a deep dream in his heart. Let us listening to the story from his own very words (interviewed by Erika Grasso in 2011/2012):
“Bishop Cavallera at a certain point gave me one year of break. So I went to a manyatta in Maikona, called Kossicha Roba. They knew me because I had built a lot in Maikona and I told them: My name is fr. Okola – because I limp -, you know me. I’d like to stay with you, with my tent and my camels. He told me: Come and stay. Then we shall see. I started on the mountain in front of Maikona, with my ten cammels, I was following the men to the pasture. The children were coming to me, I was teaching them something and then I had some medicines, like the one for the camel’s thicks. For one full year I studied their language, taking notes and talking to them and then I wrote two dictionaries. One day Bishop told me: Fr. Tablino wants to come and join you. So we started to work and walk together. With him, we went to all the Gabra to assure them powder milk, oil, maize for years and years. So everybody wanted us. The church of Maikona was already full of people because they understood that being a Catholic meant to be “insured”. We brought many to schools. They called me fr. Okola for my way of walking or fr. Galla, of camels because during drought, instead of giving them flour, I preferred to give them camels and help them to remain nomads. Then we started to preach the Gospel. We wanted to experiment a short of “nomadic mission” between Gabra. We moved to Turbi: our idea was to spend long time with the people, moving with them, visiting the Olla and starting the pastoral activities. But before starting we had to sit down with the d’aabela of the area. We told them: You all know us: we built for you the school and the dispensary in Maikona and your children know us and the nuns. But now we would like to tell you something more. We have a message from God and this is why we came to this country. We’d like to go to your villages and pass this message. Can you allow us to do this? One of the wazee stood up and told us: This is an important issue, we cannot give you an answer before discussing among ourselves. We will call you when we have decided. After half an hour, they call us back and told us: We don’t have anything against your preaching in our villages. But we want to tell you two things: first, we feel free to accept your message or not; second, if some of us don’t want to accept your message, please don’t consider them as enemies, denying for them your school and dispensary services.
So we walked, we were not staying in the parish, we went where they were, we stayed with them and eat with them. We loved their culture and we had never considered it superior or inferior to ours, but we had always treated it with big respect. We tried to translate and enculturate the Good news of the Gospel in this culture. We found Gabra culture to be similar to the Old testament: it means that God prepared them through their traditions so something new could be born and grow: Jesus. This is the great news”.

venerdì 10 aprile 2015

Necessaria, questa Pasqua!


Carissimi Amici,

Vi ringraziamo per la vostra vicinanza e la vostra presenza (tramite telefonate, email e messaggi) in questo periodo particolarmente difficile per il Kenya, dove serviamo come missionari laici da diversi anni. Non e’ il primo attacco degli Shabaab in Kenya e non sara’ l’ultimo.

Le zone del Paese maggiormente interessate dagli attacchi in questo ultimo anno sono Nairobi (prima il quartiere a maggioranza somala di Eastlight – dove Michael, mio marito, e’ nato e vissuto per 27 anni, fino a quando e’ stato inviato come missionario laico a Maikona – e poi Westland – con l’attacco al centro commerciale WestGate, di cui tutti ricorderete), poi la costa (Mombasa e dintorni – a maggioranza musulmana) e la regione al confine con la Somalia (Wajir, Garissa…): tutta la zona nordorientale del Kenya.

A quanti hanno dimostrato preoccupazione nei nostri confronti, vorremmo dire che non e’ ancora tempo di allarmarsi. Finora la zona di Marsabit e’ stata tranquilla e non c’e’ niente che faccia nascere in noi paura. Non sentiamo alcun cambiamento significativo nel clima “sociale” della citta’ e neppure tra le comunita’ cristiane e musulmane. Anche l’ambasciata Italiana a Nairobi non ha mandato segnali di preoccupazione o particolare attenzione.

Ma in ogni caso dobbiamo fare i conti con una nazione che sta svelando il suo vero volto, che non e’ quello dei safari turistici o del mare cristallino di Malindi, ma e’ un crogiuolo di popoli e comunita’ tenuti insieme da scarso senso patriottico, debolezza politica e corruzione alle stele. Fare un’analisi dell’accaduto e’ cosa complessa e non e’ neanche di nostra competenza. Ci limitiamo a sottolineare alcuni punti che possono chiarificare la situazione:

-          I terroristi non sono solo somali, se non uno, il “capo organizzatore”, che ha tra l’altro doppia cittadinanza, essendo anche cittadino kenyota. Nella stragrande maggioranza gli Shabaab “usano”, arruolano persone del Paese, pagando salari stratosferici appunto. I nomi dei ricercati per l’attentato di Garissa, rilasciati dal Governo kenyota, sono tutti kenyoti, di comunita’ kikuyu soprattutto, tranne due, che hanno appunto doppia cittadinanza. Come si puo’ dedurre, il “cancro” e’ entrato ed ha attecchito in Kenya. Come in altre nazioni, soprattutto dell’africa settentrionale. Kenyoti uccidono kenyoti per soldi.

-          Infatti, secondo punto: la religione e’ solo una copertura, o come dire un “colpo di coda”. E’ un dato di fatto che non siano MAI state attaccate apertamente istituzioni cristiane finora, ma sempre grandi assembramenti di gente, in luoghi pubblici (quello di Garissa era un campus di una delle piu’ importanti universita’ keynote, la Moi University, unica sede nella regione nordorientale del Paese). Da quanto percepiamo, non sembrano attacchi organizzati al fine di sterminare i cristiani (che in Kenya sono la maggioranza), ma piuttosto a “pungere” la nazione e quindi il Governo. Attacchi con rilevanza politica notevole. Poi, come “colpo di coda”, come per mettere la firma, fanno la prova “del musulmano”, cioe’ leggere alcuni versetti del Corano in arabo, cosa che potrebbe darti la liberta’ o condannarti. Metodologia in uso anche in altre parti del mondo, da parte di questo gruppo fanatico o di altri affini, se non sbaglio.

-          Lo scarsissimo senso di “bene comune” da parte dei politici e in generale dei cittadini si fa pesantemente sentire in questa circonstanza. In America, se perdi la tua casa a causa di un tifone, il Presidente o chi per lui si sente subito interpellato e ci sono fondi stanziati per aiutarti nella ricostruzione della tua abitazione. Qui in Kenya, tuo figlio, la tua unica speranza in cui hai infestito la fortuna della famiglia, viene sgozzato, insieme ad altri 141 figli della Patria e i tuoi politici, quelli che tu hai votato, non trovano neanche il tempo per scendere dai loro uffici e sedersi un attimo con te, partecipare ad una celebrazione commemorativa, assicurarti che almeno avevano fatto del loro meglio per evitare la strage e per salvarlo, che la morte di tuo figlio non e’ stata vana, promettere giustizia per coloro che sono gli artefici di tutto questo…,salvo poi comperare una bella bara per tuo figlio e per tutti gli altri. Tuo figlio che e’ morto anche per l’incompetenza e la corruzione dei suddetti. Quello che sentiamo e’ che il Kenya ha tradito gli studenti di Garissa, da vivi e da morti. Questa nazione e’ debole, non perche’ ha nemici, ma perche’ il Sistema di sicurezza e’ corrotto e incompetente. Quello che interessa e’ il proprio tornaconto economico. Poco altro.

-          Da rimarcare positivamente: tante comunita’ musulmane del Kenya tramite i loro imam si sono pubblicamente e fortemente dissociate da quanto accaduto, condannandolo come un atto terroristico e inumano, che niente ha a che fare con la loro religione e con Allah. Almeno questo!

-          Il Governo, pur debole e corrotto, non si sa se per dare una falsa sicurezza alla gente o se perche’ davvero ha una certa conoscenza dell’argomento, ha congelato i conti bancari di 80, tra persone fisiche e istituzioni (tra cui quattro di Marsabit, uno e’ cristiano cattolico: i suoi figli hanno studiato tutti al Memorial fr. Asteggiano e nelle scuole secondarie cattoliche della diocesi), che sembra siano in contatto o nella rete del riciclaggio di denaro e/o sostenitori (diretti o indiretti) dello Shabaab. Per risolvere il problema alla radice ci vorra’ tempo, tanto tempo e tanta onesta’. Da qualche parte bisogna pur iniziare.

Per concludere:

-          Una guerra di religione in Kenya non ha futuro. Perche’ ancora vince il sangue, vince ancora la comunita’ a cui si appartiene, il clan che ti ha fatto nascere e ti sostiene e che tu sostieni fino alla morte. Senza comunita’ non sei niente. Prima di essere cristiano si e’ Gabbra, Rendille, Kikuyu, Turkana, Luo… Prima di essere musulmano, uno si sente Borana, Meru, Samburu… Detto cosi’ puo’ sembrare triste, perche’ e’ la conferma che la “religione ufficiale e istituzionale” non e’ ancora arrivata al cuore della gente. Ma in questo caso potrebbe anche essere la nostra salvezza!

-          Una Pasqua necessaria, questa! Per farci sperimentare che la morte e' debole, vinta, finita, davanti ad un Amore indelebile e supremo, ad una presenza che non avra' piu' fine. Il Kenya ha bisogno di Amore, noi tutti abbiamo bisogno di sentirci totalmente amati! Oggi soprattutto abbiamo bisogno di sperimentare che questa oscurita' di morte dilagante non ha l'ultima parola sulla nostra vita! Oggi e' il tempo perfetto, necessario, per il grande mistero della resurrezione!
Buona Resurrezione a tutti!


Festeggiare la fede


 


Un Giubileo… d’oro quello che la Diocesi di Marsabit ha festeggiato domenica 23 novembre 2014: 50 candeline da quando gli abitanti della zona hanno accolto il Vangelo e i suoi primi missionari nel loro cuore e nella loro terra. Per me e per la mia famiglia, oltre che per la comunita’ cristiana di Marsabit, e’ stato veramente un momento di gioia, che e’ iniziato gia’ il martedi’ antecedente. Per la prima volta ho avuto l’onore e il piacere di camminare nel Marsabit insieme a don Molino e don Giacomo Tibaldi, che sono stati i protagonisti dell’avventura degli inizi, soprattutto dell’Annuncio alle popolazioni nomadi della zona. Ho sperimentato un grande stupore, che si e’ convertito in meraviglia e gioia per essere presente dove sono, nei panni di una povera missionaria laica, che pero’ si inserisce in una storia di fede e di cambiamento radicale che e’ veramente incredibile. Meraviglia e gioia nel sentire ed essere parte del fermento della comunita’ cristiana che si e’ organizzata con canti e balli per accogliere i loro primi missionari e gli altri ospiti, partiti da Alba e giunti fin nel nord del Kenya: don Molino, don Giacomo, don Garabello, don Flavio, don Albertino, insieme a tanti amici, con cui avevamo gia’ condiviso Marsabit, e alla mia mamma (eh, la mamma e’ sempre la mamma!). Commozione nel vedere gli occhi di don Molino che scrutavano i tanti visi ancora familiari, seppur un po’ invecchiati, di chi un tempo era chierichetto, studente, catecumeno, adolescente o giovane uomo o donna che iniziava a pensare alla vita in modo diverso da quanto avevano fatto i genitori e i nonni. Ascoltare i canti in borana, composti allora dai missionari, prendendo spunto dai toni e della musica tradizionale e vedere le labbra di tutti muoversi insieme intonando lode a quel Dio che mai ci abbandona.

Riconoscenza e felicita’ sui volti dei tanti che, incontrandoci durante la settimana in cui siamo stati insieme, hanno salutato e ringraziato la diocesi di Alba per quanto aveva fatto e sta fancendo per e con loro. Una maestra, dopo aver rivisto don Tibaldi e don Molino, ha commentato: “Siamo come fratelli e sorelle con Alba, lei e’ la nostra mamma, a cui dobbiamo tantissimo. Se siamo qui adesso a festeggiare e’ grazie a voi di Alba. Quando la vostra diocesi festeggera’ il suo “anniversario” di fondazione, faremo una colletta per venire in Italia e ringraziare insieme Dio!”. L’ho ringraziata e intanto un sorriso mi e’ nato spontaneo sulle labbra… pensando tra me e me a come sarebbe importante anche per i nostri fedeli albesi, ogni tanto, ricordarsi delle proprie radici cristiane e ringraziare Dio. Perche’ essere cristiani non e’ come non esserlo!