Quanti chilometri macinati con piedi e ruote di bici in queste ultime settimane... Come lo scorso anno, ospitiamo un gruppo di giovani universitari della Kenyatta University di Nairobi che, sponsorizzati dalla loro parrocchia universitaria, stanno facendo un’esperienza missionaria in questa parte del Kenya che pochi di loro conoscono. Leader del gruppo il nostro James, con cui dallo scorso anno stiamo coltivando un bel fiore. E lo posso senza dubbio annoverare tra le più belle (nel senso di interessanti e profonde, piene di Bellezza insomma!) persone che ho conosciuto fino ad ora nella mia vita. Ero con lui stamattina, mentre mi accompagnava a scuola, quando abbiamo incontrato il preside della SKM - scuola primaria di fronte a casa mia. “La volevo chiamare, sister, perché abbiamo dei problemi con Adano” (il ragazzo dal braccio rotto, che ora funziona abbastanza bene, anche se non riesce a distenderlo perfettamente!). Il mio ragazzino di terza ne ha combinate un po’ delle sue: disubbidisce al maestro e al preside, scappa dal cortile della scuola, non si presenta all’assemblea della scuola e ha speso i 20 scellini che gli avevo dato per “pagare” gli esami di metà trimestre per comprarsi una penna e due dolcetti… E non ascolta neppure il responsabile del collegio della scuola e picchia gli altri (e soprattutto – da quanto ho capito - si difende dai più grandi che fanno un po’ i bulli!). E in una scuola pubblica di mille bambini da prima elementare a terza media, capisco che il preside e i maestri non possono seguire i singoli casi. “Se continua così, lo devo mandare via dal collegio. Ha bisogno di qualcuno che lo segua da vicino, una famiglia, una persona… Lo potrebbe fare lei, sister, lo potrebbe prendere a casa con lei”. Sorrido. Mi scopro mamma in un attimo, senza nemmeno aspettare nove mesi. Guardo James: “E’ bello imparare ad essere madre prima di diventarlo per… natura”, mi dice. E io penso ai ritmi della mia vita, che poco hanno a che vedere con quelli di una vera mamma che si prende cura di qualcuno: a volte parto alle 6.30 di mattina e dopo mille giri ritorno a casa alle 7 di sera, magari accontentandomi di una tazza di latte per cena o di un frutto o di qualcosa di semplice. E poi ci sono volte che devo andare in altre parrocchie per 2-4 giorni… Pensa un po’ con un bambino da educare. Senza un’altra persona che mi possa dare una mano, con cui condividere le gioie e le fatiche del crescere… James legge nei miei occhi un “Più facile a dirsi che a farsi”, mi dice che c’e’ una soluzione a tutto e che sarò brava a trovarla anche per questo caso e lascia cadere l’argomento.
Ritornata da scuola più presto del solito, decido di passare dall’ufficio del preside per parlare con lui e con Adano e vedere il da farsi. Tra l’altro io non sono neanche l’ufficiale incaricata: lo è il parroco di Maikona, villaggio originario di Adano dove vive ancora un fratello e la nonna e ne fa le veci GB, laica missionaria rumena.
Ora… cerco di districarmi tra quegli edifici un po’ cadenti e… quasi scaduti, che chiamano scuola. Trovo il preside. Fa chiamare Adano, ma lui non c’è. E’ scappato di nuovo. Mi preoccupo: chissà dove e’ andato! Speriamo che non si metta nei guai. Il suo cuore e’ buono, semplice, così puro e innocente che a volte mi sconvolge e mi fa paura per come potrebbe essere facilmente usato da persone brutte.
Faccio per ritornare a casa e lo incontro vicino al cancello con un muso che tocca terra. Avevo promesso a me stessa che uno scappellotto non gli sarebbe mancato. Inizio dura, non lo chiamo neanche per nome: “Vieni qui subito, ragazzo”. Si avvicina con la coda tra le gambe. Andiamo in casa, un po’ di succo e un biscotto per sciogliere la tensione. Ha paura di me, non mi guarda. E sa che ha sbagliato. Prova a raccontarmi che il preside l’ha schiaffeggiato sulla faccia e l’ha pure battuto ieri. Gli chiedo se gli piace stare qui a Marsabit. Si, mi risponde. Non vuole ritornare dalla nonna a Maikona (dove mangiava un giorno sì e due no!). Ma cos’e’ che vuoi, Adano? “Nataka kusoma”: voglio studiare, non voglio essere “chocora”, spazzatura, ragazzo di strada.
Cerco di spiegargli, sottovoce, che per stare in collegio e a scuola, per studiare, deve seguire delle regole. Non può andarsene fuori quando vuole e litigare con tutti. E poi… rubare, cioè usare i soldi dell’esame per comprare qualcos’altro… “Io vedo che sei un bambino buono. Lo vedo dai tuoi occhi”. Non mi guarda. Mi dice che vuole chiedere scusa al preside. Si rilassa un po’, rosicchia tutti i biscotti che gli ho messo davanti. “Ti manca la tua mamma?”, lui schiocca la lingua per dire sì. E’ morta di Aids alcuni anni fa. E’ cresciuto con la nonna praticamente. Suo fratellino e’ ospite delle suore di Madre Teresa: anche lui, come la mamma, malato di quella brutta malattia.
Ho il cuore a pezzi. Lo sento così fragile e io mi sento così impotente. Percepisco il suo desiderio infuocato di stare con la mamma, con una persona che lo ama, ma lei non c’e’ più. E lui non può farci niente, se non accettare. Ma questo non vuol dire che il desiderio si spenga. Continua a bruciare nel cuore. Conosco bene questo stato d’animo. E’ il mio quasi ogni giorno. I miei occhi sono pieni di lacrime.
Ci alziamo e andiamo dal preside, che premuroso e attento (strano ma vero!), fa parlare Adano e gli fa dire dove secondo lui ha sbagliato e perché. Gli chiede dov’e’ la sua mamma. “E’ morta”. “E il tuo papà dov’e’?”. “Non lo so”. Ora sono i suoi occhi a riempirsi di lacrime: sa di essere SOLO. “E chi e’ che ti ha portato qui a Marsabit?”. “Sister Gilberta”, sussurra. Lei e’ il suo idolo. Tutti i giorni mi chiede di lei. “E’ della tua tribù? E’ una tua parente?”, chiede l’headmaster che sa bene dove vuole andare a parare. Ovviamente no! Gilberta e’ rumena! “Ma perché allora ti aiuta?”. Spontaneo e innocente: “Sijui”, “Io non so!”… Guardo il preside e ci scappa un sorriso. Beata innocenza! “E’ perché ti vuole bene. Così anche sister Patrizia. Perché non vogliono che diventi spazzatura, vogliono il futuro più bello per te”. Tutti e tre decidiamo insieme che ora l’atteggiamento di Adano deve cambiare, se no va dritto a Maikona. Ripetiamo insieme le regole da rispettare. E intanto dal mio cuore cresce quel sentimento appiccicoso e doloroso di pietà, quello che nasce dopo che una persona ti ha fatto camminare per un po’ nelle sue scarpe, nella sua vita. E non posso che immaginare quali siano le ferite che questo piccolo cuore deve caricarsi. Impotenza e solitudine. Se avessi un marito… magari potremmo… Se fossi qui con qualcuno dei miei Amici, quelli con cui mi sento libera di condividere tutto… Se solo potessi…
Sento tutto il peso del mio essere qui come missionaria in mezzo alla gente. E di esserci con tutta me stessa. Percepisco quanto sia importante sapere per chi si e’ “angeli”, per potersi prendere le proprie responsabilità. Guardo la croce al collo del bimbo. Come si assomigliano il suo e il cuore di Gesù, quello che, pur con le mie scarse abilità artistiche, ho disegnato domenica scorsa su un cartellone per la festa della parrocchia di Moyale, dedicata al Sacro Cuore di Gesù! Spine, acque e sangue, profonde ferite.
Il cuore dell’uomo è davvero così simile al cuore di Dio?!
Ritornata da scuola più presto del solito, decido di passare dall’ufficio del preside per parlare con lui e con Adano e vedere il da farsi. Tra l’altro io non sono neanche l’ufficiale incaricata: lo è il parroco di Maikona, villaggio originario di Adano dove vive ancora un fratello e la nonna e ne fa le veci GB, laica missionaria rumena.
Ora… cerco di districarmi tra quegli edifici un po’ cadenti e… quasi scaduti, che chiamano scuola. Trovo il preside. Fa chiamare Adano, ma lui non c’è. E’ scappato di nuovo. Mi preoccupo: chissà dove e’ andato! Speriamo che non si metta nei guai. Il suo cuore e’ buono, semplice, così puro e innocente che a volte mi sconvolge e mi fa paura per come potrebbe essere facilmente usato da persone brutte.
Faccio per ritornare a casa e lo incontro vicino al cancello con un muso che tocca terra. Avevo promesso a me stessa che uno scappellotto non gli sarebbe mancato. Inizio dura, non lo chiamo neanche per nome: “Vieni qui subito, ragazzo”. Si avvicina con la coda tra le gambe. Andiamo in casa, un po’ di succo e un biscotto per sciogliere la tensione. Ha paura di me, non mi guarda. E sa che ha sbagliato. Prova a raccontarmi che il preside l’ha schiaffeggiato sulla faccia e l’ha pure battuto ieri. Gli chiedo se gli piace stare qui a Marsabit. Si, mi risponde. Non vuole ritornare dalla nonna a Maikona (dove mangiava un giorno sì e due no!). Ma cos’e’ che vuoi, Adano? “Nataka kusoma”: voglio studiare, non voglio essere “chocora”, spazzatura, ragazzo di strada.
Cerco di spiegargli, sottovoce, che per stare in collegio e a scuola, per studiare, deve seguire delle regole. Non può andarsene fuori quando vuole e litigare con tutti. E poi… rubare, cioè usare i soldi dell’esame per comprare qualcos’altro… “Io vedo che sei un bambino buono. Lo vedo dai tuoi occhi”. Non mi guarda. Mi dice che vuole chiedere scusa al preside. Si rilassa un po’, rosicchia tutti i biscotti che gli ho messo davanti. “Ti manca la tua mamma?”, lui schiocca la lingua per dire sì. E’ morta di Aids alcuni anni fa. E’ cresciuto con la nonna praticamente. Suo fratellino e’ ospite delle suore di Madre Teresa: anche lui, come la mamma, malato di quella brutta malattia.
Ho il cuore a pezzi. Lo sento così fragile e io mi sento così impotente. Percepisco il suo desiderio infuocato di stare con la mamma, con una persona che lo ama, ma lei non c’e’ più. E lui non può farci niente, se non accettare. Ma questo non vuol dire che il desiderio si spenga. Continua a bruciare nel cuore. Conosco bene questo stato d’animo. E’ il mio quasi ogni giorno. I miei occhi sono pieni di lacrime.
Ci alziamo e andiamo dal preside, che premuroso e attento (strano ma vero!), fa parlare Adano e gli fa dire dove secondo lui ha sbagliato e perché. Gli chiede dov’e’ la sua mamma. “E’ morta”. “E il tuo papà dov’e’?”. “Non lo so”. Ora sono i suoi occhi a riempirsi di lacrime: sa di essere SOLO. “E chi e’ che ti ha portato qui a Marsabit?”. “Sister Gilberta”, sussurra. Lei e’ il suo idolo. Tutti i giorni mi chiede di lei. “E’ della tua tribù? E’ una tua parente?”, chiede l’headmaster che sa bene dove vuole andare a parare. Ovviamente no! Gilberta e’ rumena! “Ma perché allora ti aiuta?”. Spontaneo e innocente: “Sijui”, “Io non so!”… Guardo il preside e ci scappa un sorriso. Beata innocenza! “E’ perché ti vuole bene. Così anche sister Patrizia. Perché non vogliono che diventi spazzatura, vogliono il futuro più bello per te”. Tutti e tre decidiamo insieme che ora l’atteggiamento di Adano deve cambiare, se no va dritto a Maikona. Ripetiamo insieme le regole da rispettare. E intanto dal mio cuore cresce quel sentimento appiccicoso e doloroso di pietà, quello che nasce dopo che una persona ti ha fatto camminare per un po’ nelle sue scarpe, nella sua vita. E non posso che immaginare quali siano le ferite che questo piccolo cuore deve caricarsi. Impotenza e solitudine. Se avessi un marito… magari potremmo… Se fossi qui con qualcuno dei miei Amici, quelli con cui mi sento libera di condividere tutto… Se solo potessi…
Sento tutto il peso del mio essere qui come missionaria in mezzo alla gente. E di esserci con tutta me stessa. Percepisco quanto sia importante sapere per chi si e’ “angeli”, per potersi prendere le proprie responsabilità. Guardo la croce al collo del bimbo. Come si assomigliano il suo e il cuore di Gesù, quello che, pur con le mie scarse abilità artistiche, ho disegnato domenica scorsa su un cartellone per la festa della parrocchia di Moyale, dedicata al Sacro Cuore di Gesù! Spine, acque e sangue, profonde ferite.
Il cuore dell’uomo è davvero così simile al cuore di Dio?!
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