Aspetto Richard, lo studente che ho conosciuto a giugno a Marsabit durante l’esperienza missionaria della Kenyatta University di Nairobi, che ogni anno invia qualche giovane volenteroso a condividere la propria fede con i nostri giovani. Anche se conosco meglio suo fratello Moses che non Richard: laico missionario che ha lavorato a Marsabit nel 2000-2004, nella scuola Memorial in cui presto servizio io ora. Ora Moses è preside di una scuola primaria a Hola, vicino a Garissa, sempre come laico missionario e quindi non ci incontreremo!
Appena scesa dal matatu, come benvenuto, ricevo una proposta di matrimonio da un mezzo ubriaco che, in mezzo a quella folla, dice che stava cercando proprio me (manco fosse difficile trovarmi là in mezzo: spiccavo come una macchia di caffè su una camicia bianca!). E questa attenzione della gente non si attenuerà nei giorni seguenti e mi farà sentire sempre “ospite”, anche se parlo kiswahili e ci capiamo…
Per fortuna Richard arriva subito e con il suo amico Adalbert andiamo a prenderci una coca. Appena capisco che per arrivare a casa di Richard dobbiamo prendere un altro matatu, mi accorgo di non sapere niente su ciò che mi aspetta nei prossimi giorni: pensavo infatti che abitasse “vicino” alla città, ossia “non lontano”, come mi aveva scritto nella mail prima di partire. E mentre un sorriso mi spunta sulle labbra, ho la consapevolezza che il suo “non lontano” da buon africano poco ci azzecca con il mio “vicino” europeo. E mi preparo ad affrontare un altro viaggio, completamente affidata a chi mi conduce.
Viaggio simpatico su un pulmino da dodici che ospita più di venti persone esclusi bambini e bagaglio (perche è giorno di mercato!) e… per fortuna, noi siamo seduti di fianco all’autista con il nostro spazio assicurato. Una ventina di minuti sull’asfalto. Poi cambiamo mezzo. Saliamo su una Peugeot familiare e in pochi minuti sul sedile di dietro siamo in cinque, e davanti l’autista ne fa accomodare due sul sedile passeggero e un altro praticamente sotto di lui. Non soddisfatto tre signore salgono ginnicamente nel cofano. Un altro quarto d’ora, questa volta su sterrato. Sono già imbambolata a guardare fuori, a immergermi nei bananeti, nel verde brillante del the’ e della canna da zucchero e dei cortili delle case ben curati, quando giungiamo in un villaggetto. E si sono fatte le quattro di pomeriggio: inizio a sentire fame perché con la frugale colazione del mattino a Nairobi alle 6.30, il mio stomaco è vuoto. Non sa che dovrà ancora aspettare 4-5 ore prima di poter festeggiare con un po’ di polenta e sukumawiki e brodo di pollo.
Scendiamo ed andiamo a salutare il papà di Richard che gestisce alcune camere in affitto e per questo non vive con la famiglia a casa. Mi da’ il benvenuto e aggiunge che guardandomi bene, non sono poi così diversa da lui: due occhi, un cuore, una bocca. Solo il colore della pelle è diverso, ben poca cosa rispetto a quello che ci unisce. Mi colpisce immensamente la sua voce calma, il suo buon kiswahili (è un maestro in pensione), la sua pace interiore, la sua estrema semplicità e il suo darsi da fare i suoi 11 figli, la maggior parte dei quali ancora a scuola (e gli altri tutti “studiati” fino all’università’!!!). Mi dice che la casa è un po’ lontanina, otto km a piedi. Oh, che gioia!!!
Ma intanto ecco che arriva Kim, un amico, prende il mio zaino con tutta la mia roba e mi dice di non preoccuparmi. E chi si preoccupa più ormai!
Lasciando da parte fame e stanchezza, l’africana che è in me prende il sopravvento: saluto sorridente chi incontriamo con le spalle leggere e gli occhi inebriati da queste dolci colline cosparse di case, capanne con il tetto di paglia e campi ben curati. E così i Km per casa si rivelano non troppo lunghi, di certo non otto!
E quello che mi attende è un ambiente semplicissimo, ma tipo svizzero: mucche da latte nel recinto di legno e tre casette curate con un bel giardino di fiori, alberi da frutto e prato quasi all’inglese e… niente immondizia in giro! La casa non ha acqua corrente, il bagno e neanche la luce elettrica. I fratelli più piccoli di Richard studiano a lume di una lampada a pannelli solari. Le stanze sono divise da un semplice muro che non arriva fino al soffitto (che non c’e’!)… ma l’atmosfera e la famiglia sono così accoglienti (e non invadenti!) che mi diverto a lavarmi nella bacinella, a usare la latrina tra gli alberi e a dormire accompagnata dai suoni della natura e del vagito del bebè Junior, figlio di Stella, sorella di Richard.
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