E quasi me lo stavo dimenticando... ma ieri, 18 novembre 2010, sono stati esattamente due anni da quando quella mattina a Milano ho preso l’aereo che mi avrebbe portato a Nairobi la sera stessa, con i miei 40 kg di vita in valigia. Non è questo il luogo per fare una verifica della metà passata del mio stare qui come missionaria laica (ma sicuramente il tempo per la verifica è questo e spero che nei prossimi giorni avrò l’ispirazione, la pazienza e occhi attenti per scrivere al CMD), ma non posso non pensare a quante persone hanno camminato nella mia vita e a quante persone si sono lasciate incontrare e conoscere. Persone diverse da me, alcune arrivate come pioggia d’estate, altre delicate come neve sul prato, altre han lasciato fango e alcune han fatto fiorire boccioli… Di certo non sono quella che è partita due anni or sono. La mia vita si è mescolata, in bene e alcune volte in male, con quella di altri, in maniera esponenziale rispetto a come capitava quando ero in Italia. E sogno anche che chi mi ha incontrato e mi incontra se ne vada un po’ migliore, come tante volte succede a me. E poi penso a quanti chilometri le mie scarpe han macinato in questi 24 mesi, orse paragonabili a quelli che ho camminato nei miei primi 29 anni di vita! E a quante storie le mie orecchie han ascoltato e a come hanno inciso il mio cuore. Penso a quanti bimbi ho stretto le mani, a quelli mi sorridono e a quelli mi guardano strana perché mai avevano visto una con la pelle così scolorita, quasi malata! Penso ai banchi di scuola e ai miei alunni di quarta, quinta e ottava, alle loro vite in bocciolo, ai loro vissuti quaderni (che se li vedessero le maestre italiane svenirebbero per lo spavento!). Penso ai missionari con cui sto condividendo questo cammino, alle buone parole che ci scambiamo, all’affetto che ci sostiene quando la solitudine pesa troppo, alle torte gustate insieme, alle risate e alle confidenze con suor Pierina, alle discussioni su come fare missione senza creare dipendenza, su come portare Cristo in un modo giusto e capibile… Penso a tutte le persone che in questi due anni mi han fatto sperimentare che l’amicizia vera non muore, anche se non ci si vede fisicamente, perché la comunione del cuore e dello spirito è quello che davvero conta. E il mondo diventa piccolo, unico e unito. Penso a tutti coloro che han trovato modi vari e diversi per farsi prossimi, per superare l’individualismo che sembra soffocare le nostre belle colline piemontesi. Penso a chi non ha paura di scommettere in una vita e in un mondo diverso e lo fa scegliendo uno stile di vita consono, un modo di lavorare e di viaggiare alternativo, aperto agli altri. E poi penso a quegli occhi neri che stanno imparando a leggermi il cuore (ma che a volte ancora fanno un po’ fatica a… lasciarsi leggere!) e condividono con me un sogno e un amore. E non posso che essere contenta di questa scelta, tanto da valutare seriamente il rinnovo della convenzione per altri tre anni dopo novembre 2011. Consapevole che la mia forza non sarebbe bastata neppure per partire, figuriamoci restare!
Mi accorgo anche di come la mia fede sia diventata molto più essenziale, priva di parole poetiche che portano lontano da ciò che conta, ma indirizzata al fine…, saldamente legata alla Parola e all’accoglienza dello Spirito Santo. E mi rendo conto anche di quanto ho ricevuto, in termini di fiducia, di esempio di fede e di affidamento alla Provvidenza dalle persone che mi vivono accanto. Ma anche vedo bene quanto c’è ancora da fare, da testimoniare, da esserci e da esserci in un certo modo. A volte duro, secco, dritto, altre volte delicato, senza ferire, in punta di piedi, come vento leggero che ristora dal caldo sole…
Tuttavia non nego che alcune volte mi sorprendo ancora (ed è giusto così, perché mica so tutto o accetto tutto di questa cultura!) per il modo di vedere le cose, la vita, l’amore, il dopo, il futuro… dei fratelli kenyoti. E riflettevo in questi giorni, grazie a un fatto successomi, a come a volte qui le cose sono semplici. Lasciate che vi racconti come tante volte vengono a costituirsi le coppie, che dopo poco tempo scelgono di condividere il resto della loro vita insieme. E mi sembra di vedere nella concretezza il succo di quel detto africano che recita: “Voi europei sposate le donne che amate, noi africani amiamo le donne che sposiamo”! O come mi diceva pochi giorni fa un ragazzo: “Ci amiamo quando ci accettiamo a vicenda”. E’ abbastanza normale per un ragazzo originario di questa parte di Kenya avere in mente la propria “principessa”, le qualità che deve avere per essere una buona moglie e una buona madre (le due cose qui non sono scindibili: deve sapere tenere la casa, cucinare, lavare, allevare i bambini, essere ubbidiente, servizievole e non porti disonore al marito!), i valori che sostengono la sua vita, il suo stile di essere e di presentarsi (timida, preziosa, di poche parole, sorridente…). Le amicizie femminili che vengono coltivate fin dall’adolescenza non hanno altro scopo se non quello di avere un mazzo abbastanza grande di ragazze tra cui scegliere. E tutto questo viene fatto quando il ragazzo, spinto tante volte dalla pressione sociale e dalla sua famiglia (quando non è la stessa a suggerire per lui esempi di ragazze a modo, degne del matrimonio!), decide che è arrivato il momento di sposarsi e di formare una famiglia e di dare contributo alla specie umana (fortissimo qui questo senso!). E così quella che era solo un’amicizia di poche parole e di sguardi diventa nel giro di un paio di mesi un impegno per la vita, candido e puro (nel senso che non sono ammesse “troppe” effusioni, quasi non si sfiorano!), se la ragazza non è già stata “prenotata” (lett. “booked”!) da un altro pretendente. E’ difficile che una ragazza rifiuti. Anche lei nel suo cuore coltiva alcune amicizie maschili con la speranza che un giorno uno di questi ragazzi arrivi a casa sua per parlare con suo padre.
Non si pensi che per i ragazzi di Marsabit e dintorni che han studiato, anche fino all’università, le cose siano poi tanto diverse. Magari invece di un paio di mesi, ci impiegano un anno… Ma la procedura è alquanto simile. Da amici di famiglia a mariti! E se, come nel mio caso non ho qui presenti i miei genitori, i pretendenti vengono a parlare direttamente con me, dicendomi esplicitamente che han visto questo e quell’altro in me e che queste caratteristiche sono gradite e che, se io accetto, sono pronti a fidanzarsi con me, a “prenotarmi”. Da questo momento, a livello sociale, ai due è permesso vedersi qualche volta in pubblico, magari per bere una coca insieme o camminare un po’, per conoscersi meglio. L’innamoramento e l’attrazione ci sono, ma la decisione non dipende da quelli.
Ecco… poi tante volte succedono cose per me non logicamente spiegabili. A dispetto di tutto questo rispetto e candore per la propria futura moglie, al ragazzo (fin dall’adolescenza, o almeno dai 18-20 anni) è permesso cercarsi amanti con cui avere relazioni sessuali, che devono rimanere segrete. E le cerca tra le donne sposate (perché le ragazze non ancora sposate dovrebbero arrivare vergini al matrimonio ed e’ una vergogna, un taboo sociale essere sorpresi con una ragazza nubile, tanto più se poi lei rimane incinta). Tutto ciò in segreto, cercando di non essere sorpreso dal marito (che comunque è il primo che va con altre donne e quindi sa, ma chiude un occhio o tutti e due!). E anche qui, sono poche le donne forti che dicono di no e alcune volte succede che concepiscono bambini non dal proprio marito, ma senza che il “matrimonio” ne risenta. Il divorzio non è veramente in questa mentalità, almeno non per l’infedeltà. A volte penso alle nostre coppie cristiane, a come devono veramente lottare contro questa mentalità per mantenere il loro amore fedele e sicuro.
Nei corsi di educazione che portiamo avanti nelle scuole cerchiamo sempre di minare questo modo di pensare, presentando la mutua appartenenza e il particolare amore tra moglie e marito come cosa buona, profumata, di cui innamorarsi. A meno che non ci si innamori del Bene, non avremo le forze e l’autocontrollo per dire di no alle cose che dispiacciono il Bene e la Bellezza. Penso sia un cammino personale e comunitario lungo e complesso, che forse anche nel nostro cattolicissimo Piemonte e’ stato mascherato per tanto tempo dietro a taboo, paure e dogmi. Ora cadendo quelli, l’immoralità è dietro la porta. E dico immoralità per intendere la “bruttezza”, quello che non è origine di pace e serenità, di Bellezza interiore ed esteriore.
Sentiamoci uniti in questa battaglia per… ri-innamorarci della Bellezza, che e’ una battaglia comune a tutto il mondo.
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