lunedì 18 ottobre 2010

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“Mungu anaweza”, “Dio può, Dio è capace!”: è la voce del pastore della “God’s power Church” (“la Chiesa del potere di Dio” di Ruaraka), che tiene una specie di show sulla tv nazionale kenyota. Non è una cosa inusuale sentire parlare di Dio la domenica qui in Kenya: per radio, per televisione, sui pullman e pulmini in Nairobi, si trasmettono programmi e musica religiosa a tutto volume fin dalle sette del mattino. E poi le varie chiese (o sette, come vogliamo chiamarle?) mettono fuori per strada i loro altoparlanti e iniziano con i loro “alleluia- amen” i sermoni accompagnati da ritornelli cantati e lettura della parola di Dio a tutto spiano. Pastori e predicatori (improvvisati o no) scelgono posti strategici, parchi, incroci stradali, giardini pubblici, per radunare gente con le loro parole e magari le loro preghiere di guarigione.
A parte gli eccessi, che esistono abbondanti, la religiosità del popolo kenyano (o dei popoli kenyani… ma questo è un altro discorso!) permea tutta la loro vita pubblica e privata. E mai sentirete il presidente o qualche altra personalità pubblica concludere un discorso senza citare Dio e senza benedire i presenti.
Dio entra dappertutto, non solo nei pubblici comizi, ma anche nella vita quotidiana: dagli auguri per un bimbo appena nato, alla lettura delle vicissitudini giornaliere (anche quelle dipendenti puramente dalle decisioni e dalle responsabilità umane), dalle parole di incoraggiamento in una situazione difficile al ringraziamento per il bestiame che si possiede…
Dio entra dappertutto, ma troppe volte si vedono scollamenti così grandi tra ciò che si dice e ciò che si decide e si fa’, da mettere i brividi.
Ed è forse per questa ragione, per questa incoerenza di fondo e poi per la ricerca di un senso profondo a certe questioni (la vita, la malattia, la morte, la sofferenza) che le “chiese-funghi” (perché spuntano ad ogni angolo come funghi!) hanno tanti adepti. “We care – God heals” (Noi ci prendiamo cura, ci interessiamo – Dio guarisce) han scritto sullo schermo, mentre il pastore spiega come nel 2005 e anche recentemente due seguaci del suo gruppo che erano HIV positivi, sono stati completamente guariti da Dio, tramite le sue preghiere. Immagini di gente sulla carrozzina che miracolosamente cammina, di bambini disabili che si mettono a parlare o a muoversi… E dietro capisco come quest’uomo intelligente ha capito il bisogno profondo dell’uomo d’oggi (bianco o nero che sia): il sentirsi amato, il cercare risposte credibili alla sua sete di senso esistenziale.
E poi, ovviamente, il buon pastore in giacca e cravatta non si dimentica di indicare come donare soldi (perfino tramite SMS) per permettere alla sua opera di salvezza di proseguire…
Immagini di un salone gremito di gente che applaude e che attenta fissa gli occhi sul pastore che predica. Mi viene in mente la prima moltiplicazione dei pani di Gesù: “Vide molta folla e si commosse per loro, perché erano come pecore senza pastore” (Mc 6, 34). E per lo più, sfruttate da un mondo banale che vive per il dio denaro e non si preoccupa di usare a fini commerciali anche il più alto dei desideri umani: la ricerca di amore e di senso.

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