In questi giorni sto finendo un libro regalo che ho apprezzato veramente molto: “Nel deserto il profumo del vento” di Giorgio Gonella, sulla ricerca di Dio nella vita. Mi sta piacendo molto perché mi sta dicendo che questo deserto fisico, quello del Chalbi o quello del Kaisut, che circondano le montagne di Marsabit, aiutano davvero a creare il deserto interiore in cui incontrare Dio. “Chi torna dal deserto sa apprezzare a fondo il valore delle cose più semplici, delle realtà più banali, delle persone più insignificanti. Guarda al mondo con occhi pieni di meraviglia. Ha acuito i propri sensi: vede di più, sente di più, ascolta di più”… Ciò che succede al pellegrino del deserto è un cambiamento a livello della sua visione del mondo (e qui mi vengono in mente le parole di tanti ragazzi che tornavano da un soggiorno missionario a Marsabit…), della sua ottica di fede, del suo sguardo, e questo ha un qualche impatto su tutta la sua personalità. Perché lasciando che i bisogni vitali si manifestino, si viene a contatto con l’”osso” della vita e con lo spirito di Dio, che si manifesta come Compassione universale. E’ una cosa che io ho desiderato fare, quella di lasciare tutto per venire qua. Ma per tanta gente è condizione “naturale”… “Per il povero cristiano delle bidonville d’Africa lo spogliamento, la nudità, il non-avere sono la condizione permanente. Un orrore quotidiano. Se la vita negli ambienti poveri è spesso marcata da mancanza di spazio e da promiscuità, è pure vero che coloro che vivono in stato di oppressione devono ingoiare ogni giorno la solitudine amara della loro sofferenza. Niente crea solitudine come una sofferenza che non riesce ad esprimersi. (…) Che dire della ferita dolorosa del desiderio? Il desiderio è sempre sanguinante. Anzi, dovremmo dire: la folla dei desideri, che sono “legione”. (…) I poveracci hanno questa grande forza: vivono sempre con gli occhi aperti sulla nostra condizione mortale. E senza drammaticità eccessiva: hanno poco da perdere. (…) C’è un “deserto di stracci” in cui la fede si purifica per la forza stessa delle cose. In cui la maturazione spirituale avviene alla scuola della vita. E’ la condizione di beatitudine descritta nel discorso della pianura (Lc 6, 20-23). La vita del povero è segnata dall’assenza, dal vuoto, dal non-essere. E soltanto il vuoto ci purifica dalle falsi immagini di Dio e ci apre alla comunione di vita, un rendersi vulnerabile, un lasciarsi portare. Cose che il povero vive in profondità, in maniera vita e quasi disperata. (…) L’esperienza dei poveri nel “deserto di stracci” ci fa scoprire Dio come “vento di compassione”, vivente e attivo nel cuore della storia dei vinti, degli sconfitti. Dio è compassione universale. La sua compassione “muove il sole e le altre stelle”. (…) Quando parliamo di compassione , ci riferiamo ad una forma particolare di amore, quella che nasce dall’impotenza. Non è l’amore del benefattore che fa piovere benedizioni dall’alto, né l’amore generoso che risolve i problemi dell’altro, né l’amore spettacolare che fa miracoli. La compassione è un vento di solidarietà sottile, ma profondo, che nasce da una condizione d’uguaglianza. E’ la mano sulla spalla di chi soffre accanto a te. Di chi è impotente come te e con te. E’ vento di comunione tra coloro che soffrono la stessa fame e la stessa sete. La compassione è l’amore del povero”.
Questo non è un elogio alla miseria: sappiamo che i poveri, individualmente, possono essere anche meschini, brutali, egoisti, approfittatori, a volte feroci. Ma quella dimensione di vuoto che sto percependo qui e che non ho mai percepito da nessun’altra parte. E siamo davvero sicuri che non ci siano più poveri nella nostra bella Italia? E non è un essere povero una persona che soffre, che è disorientata dal male o che è sola? Forse però non c’è più l’usanza di prendere questi momenti come “buoni”. Ci spaventa a morte sperimentare il bisogno, la mancanza, il vuoto, l’assenza,… il deserto. Che però è il terreno dove Dio si manifesta, dove la Provvidenza ha la libertà di agire e di rivelare il volto di Dio.
Quando sono venuta qui a Marsabit, ho scelto di non avere il frigorifero, la TV, l’automobile, internet in casa. Desidero e ho sempre desiderato una vita semplice e ora sono consapevole che questo desiderio veniva dal cuore di Dio perché io potessi fare esperienza di Lui in modo diverso, profondo, quasi umano. Mi dicevo: “Se ho tutto, non avrò bisogno degli altri. E io sono venuta qui per costruire comunione. DEVO avere bisogno degli altri, cominciando dalle cose materiali”. Tuttavia la prima povertà che ho vissuto quando sono arrivata qui non è stata legata alle cose materiali, ma all’essere sola. La solitudine mi ha spaccato. E’ stata la fessura dove Dio ha potuto entrare in modo diverso. O scappi e ti tormenti o ti fidi. Ti fidi di Lui. Ti fidi che ci sia una Provvidenza che si prende cura di te, che agisce nelle tue povertà (lo stesso pensiero l’ho ritrovato negli scritti della Comunità Cenacolo nell’ultimo numero della loro rivista “Risurrezione”), che ti fa prossima agli altri. Ma da sola non l’avrei mai imparato. Alcune delle persone con cui condivido la mia vita qui me lo stanno insegnando. E’ difficile. Ma quando il cuore finalmente si fida, si aprono orizzonti nuovi.
Come per esempio quando venerdì scorso Michael cercava di organizzare la sua venuta a Marsabit per andare a parlare al vescovo, ma da Maikona non ci sono trasporti sicuri, solo camion che passano occasionalmente di notte. Per un’emergenza al dispensario, la notte della partenza non è riuscito ad andare in paese e vedere se ci fosse un camion pronto per partire. E io intanto pregavo il Signore: “Non abbiamo la macchina, Signore. Abbiamo scelto di non averla. Questa nostra povertà sia per te terreno buono per mostrare la tua paternità verso di noi. Prenditi cura di noi. Ma comunque sia fatta la tua volontà”. Voi ci crederete che, dopo una notte insonne con il malato al dispensario, Michael è riuscito a partire alle 7 del sabato mattino con un fuoristrada che passava da Maikona e che in due orette l’ha portato a Marsabit. E la stessa cosa è successa la domenica pomeriggio, con un camion che l’ha riportato alla sua missione, pronto per ricominciare il lavoro puntuale il lunedì mattina. Bello, no?
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